Una donna, il rifiuto e la vendetta
I retroscena dell’inchiesta che ha portato in carcere un uomo ossessionato della sua ex, rivelatosi pronto a tutto. I carabinieri: denunciare subito è l'unica arma possibile
Lei si accorge di lui che insiste, la perseguita, e così va dai carabinieri. Poi altri pedinamenti, e scatta la denuncia.
Ancora: nell’ottobre di due anni fa, l’inseguimento che quell’uomo diventato un vero tormento ha portato a termine con l’aiuto di un complice assieme al quale, per strada, l’ha nuovamente seguita arrivando quasi a sfondarle i vetri della macchina a pugni.
La donna, sola, stanca, si sente in trappola e a quel punto si aggancia all’unica cosa che può salvarla: il telefono, dove aveva memorizzato il numero dei suoi salvatori, cioè i carabinieri di Laveno. I militari arrivano in un attimo e arrestano finalmente lo stalker.
Potrebbe finire qui, questa storia al limite. Invece no.
Perché il limite, in quella giornata di inizio autunno del 2017, doveva essere ancora abbondantemente superato, almeno secondo le accuse mosse dagli investigatori in quel caso di stalking e violenza emerso dalle indagini rese note oggi e scaturite nell’esecuzione di severe misure cautelari.
L’uomo finito in manette all’alba con accuse pesantissime, proprio per quel pregresso di persecuzione ha fatto dentro e fuori di galera, viene messo gli arresti domiciliari per poi passare alla carcerazione domiciliare.
Da lì, da casa, medita. E decide.
Quella donna che alla fine non si è piegata e ha denunciato diventa il bersaglio da punire, solo perché ha scelto di comportarsi nella maniera migliore, cioè parlare coi carabinieri, pagando quell’impulso di legalità col rogo della sua Peugeot 206 data alle fiamme attorno alle 3 di notte dello scorso 18 maggio, nel cortile della sua abitazione a Laveno Mombello. Un incendio spaventoso dove della macchina rimangono i rottami.
È questo l’elemento scatenante delle indagini, cui segue la minaccia pesantissima ai danni di un secondo soggetto, un conoscente, che viene convocato dai carabinieri, e per questo viene prelevato e minacciato pesantemente: schiaffi e pugni, lo mettono in auto e lo portano in un bosco a due minuti d’auto dalla casa del “capo”.
«Se parli, ammazziamo te e la tua famiglia», gli dicono con un coltello da 20 centimetri sotto la gola e di fronte a una buca di un metro e mezzo scavata nel bosco: per i magistrati è sequestro di persona.
«La risposta che abbiamo dato è stata efficace, grazie all’ottimo rapporto di collaborazione con la Procura. Ed è evidente che siamo di fronte a una serie reiterata di reati che sono stati colpiti in maniera sempre più energica», ha spiegato il tenente colonnello Federico Ninni a capo del nucleo investigativo di Varese.
Le investigazioni sul gruppo non si sono fermate alle dichiarazioni testimoniali nell’immediatezza dell’incendio all’auto della donna, ma anzi sono proseguite con analisi dei dati informatici e persino delle registrazioni delle telecamere di video sorveglianza interna all’abitazione del sospettato numero uno (accusato di essere il mandante), che secondo gli investigatori del capitano Alessandro Volpini e del luogotenente Marco Cariola, del Nucleo operativo e radiomobile di Luino, avrebbe manomesso gli orari delle riprese per dimostrare la sua estraneità ai fatti alla luce dei rilievi dei carabinieri.
Non ultima anche l’attività di indagine sulle copie forensi dei cellulari nella disponibilità alcuni degli indagati che dimostravano che il gruppo di amici utilizzava una sorta di linguaggio tutto sballato per comunicare.
Elementi che il difensore del principale indagato, Corrado Viazzo, cercherà di «analizzare nella maniera più approfondita possibile».
Sulle modalità della continuazione di quella condotta malata, opprimente e insistente, rimangono i messaggi fotocopia lanciati dall’aguzzino alla vittima, che non voleva più saperne ma veniva controllata addirittura sul colore degli abiti che indossava, sulle abitudini.
E su quell’auto nuova dal colore particolare, ora ridotta in cenere.
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