
Con la quotazione in Borsa si migliora la narrazione dell’azienda
C'è chi si quota per farsi conoscere e chi per introdurre manager nella governance. Chi ha colto l'attimo e chi ha sperimentato diversi strumenti finanziari prima di arrivare al programma Elite

«La quotazione in borsa richiede un progetto. È un po’ come il matrimonio: c’è un prima e un dopo e il divorzio è molto costoso». Questa efficace metafora è di Valter Lazzari, professore degli Intermediari finanziari all’università Liuc di Castellanza. Se un imprenditore dunque decidesse di fare questo passo, dovrebbe tener conto di alcuni consigli di chi lo ha preceduto. Allo stesso modo, se optasse per l’emissione obbligazionaria, la conoscenza dello strumento scelto e degli interlocutori che lo accompagneranno “all’altare”, a partire dall’advisor, diventano fondamentali.

Le imprese intervenute alla tavola rotonda a margine del convegno “Dalle emissioni obbligazionarie alla quotazione: la raccolta di capitale per la crescita e lo sviluppo delle imprese“, moderata dal giornalista Andrea Ferretti, hanno messo alcuni punti fermi rispetto a questa scelta. «Innanzi tutto – ha spiegato Olivo Foglieni, presidente del gruppo Fecs – se si è fatto il percorso Elite di Borsa italiana, tutto diventa più agevole. Non bisogna aver fretta perché i costi ci sono e bisogna conoscerli prima. Anche se in banca il finanziamento mi sarebbe costato l’1% contro il 4% dei minibond, alla fine mi sono ripagato tutto con effetti positivi soprattutto nella considerazione delle banche».
Scegliere il programma Elite per alcuni imprenditori è stata la naturale continuazione di un percorso di apertura al mercato dei capitali già iniziato da tempo. «Alla Mpg (Manifattura plastica di Gallarate, ndr) nel 2006 ci siamo affidati al private equity come canale alternativo alla banca – ha raccontato Lorenzo Perego, Cfo della manifattura – . In seguito abbiamo fatto due emissioni di minibond, da tre e quattro milioni, per entrare infine in Elite che è servita a sistemare la narrazione della nostra azienda e di quello che facevamo».
Dalle testimonianze del convegno è emersa più volte l’incapacità delle aziende di comunicare correttamente con le banche, deficit che spesso costa una valutazione del rating peggiorativa rispetto alla realtà. «Far conoscere alle banche la tua visione prospettica diventa fondamentale» ha precisato Perego.
In questo percorso si possono inserire anche soggetti che di natura sono prestatori di garanzia per le imprese, i classici confidi, che però si inseriscono con un ruolo diverso, ovvero come partner dell’operazione con capitale di rischio. In provincia di Varese ConfidiSystema!, il più grande della Lombardia nato nel 2016 dalla fusione di cinque confidi lombardi, dell’artigianato, dell’industria, dell’agricoltura, dei servizi e del terziario, ha partecipato alla prima emissione di minibond della Fonderia Casati che in questo modo ha finanziato il passaggio a industria 4.0. «Il nostro obiettivo – ha sottolineato Renato Cavallari, direttore commerciale di ConfidiSystema! – è diventare un hub della finanza di impresa. In quattro anni abbiamo sottoscritto 33 progetti di minibond per un totale di 25 milioni di euro. Va bene la soluzione del credito bancario ma ben vengano operazioni di questo genere».
Cogli l’attimo. Giacomo Andreoli, ceo di Confinvest, azienda che commercia in oro fisico, ha seguito questa massima. «La scelta di fondare l’azienda – ha raccontato Andreoli – è nata da una considerazione: la grande liquidità da una parte e i tassi negativi dall’altra erano un’opportunità. Abbiamo fatto tutto molto velocemente, in quattro mesi siamo arrivati alla quotazione. Il roadshow è stato il momento topico perché di fatto noi siamo una public company. Credo che tra le ragioni di questa scelta c’era anche la voglia di farsi conoscere, di essere apprezzati dalle banche e creare un team esterno coeso».
Tra le motivazioni che stanno alla base di una quotazione in borsa c’è anche la volontà di managerializzare l’azienda, come nel caso Fope di Vicenza, azienda che compie quest’anno 90 anni di età e specializzata nella produzione di collezioni di gioielli. «Nel 2016 abbiamo deciso la quotazione nel mercato Aim – ha detto Diego Nardin ceo dell’azienda – È stata una scelta voluta fermamente perché la riteniamo fondamentale nel nostro posizionamento strategico. Questo ha permesso di strutturare un team molto professionale che si è occupato dei vari passaggi».
La quotazione sul mercato Aim per una startup innovativa può fare la differenza tra il vivere e il morire, nel caso di Kolinpharma, l’ha fatta. Questa azienda che fa ricerca, sviluppo e commercializzazione nel campo della nutraceutica (intengratori alimentari), ha raccolto un anno fa sul mercato 3,1 milioni di euro, i ricavi sono letteralmente esplosi facendo segnare un entusiasmante + 76% e un Ebitda pari al 20,1%. «Nel momento della quotazione – ha detto Rita Paola Petrelli, ceo di Kolinpharma – eravamo totalmente incoscienti rispetto a quello a cui andavamo incontro, ma serviva perché dovevamo fare un salto di qualità per dare a Kolinpharma la giusta visibilità per essere conosciuta anche in ambito internazionale. L’adempimento di tutte le procedure è stata una sfida notevole così come poter raccontare la nostra storia».
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