Rosa e Angelo, l’amore sbocciato dopo il bacio a Dachau

L’incredibile storia di due detenuti che si conobbero nel campo di sterminio. Il ritorno a casa e la lunga vita passata a Cuvio

Avarie

«Lei gli preparava l’acqua calda dopo una lunga giornata di lavoro all’Aermacchi. Lui le pelava le mele e gliele passava con tenerezza».

Gesti d’amore durati una vita in tempo di pace ma tenuti a battesimo in mezzo alla guerra in un luogo fatto apposta per rinchiudere l’uomo nella più totale disperazione, scintille fatte di occhiate furtive che Rosa e Angelo si davano durante la prigionia nel campo di concentramento di Dachau e che oggi tornano a galla dal profondo della memoria di un bambino che quelle storie le ha sentite raccontare e ha oggi deciso di rendere pubbliche.

Marco Felli 43 anni, sindacalista, nel Giorno della memoria ha deciso di raccontare vicende di cuore e affetto sbocciate dietro al filo spinato dove erano rinchiusi i nonni Rosa Chromi, classe 1923 e Angelo Savini, del 1921. Lei nata a Vienna e deportata in Germania come mano d’opera nelle industrie di armamenti, lui aviatore italiano originario di Cuvio catturato e spedito “in Germania a lavorare“, triste slogan che riguardò oltre 600 mila internati militari italiani.

«È ricordo ancora vivo che nessuno della mia famiglia potrà mai dimenticare» spiega Marco, con grande emozione per il racconto che per la prima volta rende pubblico.

«“Angulin“ e Rosa si incontrarono per caso nel campo: lui faceva il cameriere alla mensa ufficiali e arrivato a 45 chili di peso per un metro e 85, per sopravvivere mangiava gli avanzi. Ma gli aguzzini se ne accorsero e cominciarono prima a buttare a terra il cibo scartato, poi a urinarci sopra per divertimento. Ed è qui che quella ragazza che non parlava italiano cominciò a dividere le sue razioni di cibo con quel prigioniero italiano che non conosceva, ma che gli stava simpatico. Quella donna era mia nonna, e lì cominciò il loro amore».

Un amore pericoloso, perché se una detenuta del campo si fosse invaghita di un altro prigioniero avrebbe rischiato di finire direttamente nella baracca adibita a bordello, e da lì, poco dopo, nella camera a gas.

A Dachau la grande macchina della morte era fatta per sfruttare e annullare le menti e i corpi degli internati: fu il campo di concentramento modello, scuola di torture per le “ss“ aperto nella prima metà degli anni 30 per gli oppositori politici da cui passarono 200 mila persone e ne morirono oltre 40 mila, gasate e poi cremate*. Così fino alla fine della guerra quando il campo venne liberato.

Rosa e Angelo partono per l’Italia. Un viaggio difficile per tutti gli internati dei campi, ma per loro in maniera particolare.  Marce lunghissime. Treni affollati, col buco nel pavimento per i bisogni.

«Mia nonna parlava tedesco, francese e inglese, ma non italiano – spiega Marco – . E tornare in Italia in treno, o a piedi con qualcuno che si esprimeva in tedesco era molto pericoloso in quel periodo. Rosa si travestì da uomo, indossò i calzoni per tutto il viaggio e arrivò a Cuvio assieme al nonno tra il grande stupore di tutti. La notizia che si sparse di bocca in bocca non era che era tornato, ma che stava con una donna che non parlava italiano, e coi pantaloni per giunta! Ma erano già sposati: dissero sì al confine di Stato, per non avere problemi con la legge».

Dal loro matrimonio nacquero tre figlie e loro due, l’Angiulin e la Rosa («che imparò a parlare prima il dialetto e poi l’italiano») vissero una lunga vita insieme fino al 2004 quando se ne andarono a distanza di pochi mesi.

Di tanto in tanto l’immagine di Angelo che torna dal lavoro in bici e sbuccia la mela per il suo “Ninin“, riaffiora.
«Succede sempre in questi giorni», spiega Marco, «per noi è Memoria».

*fonte: wikipedia

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 27 Gennaio 2020
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