“In lotta col virus, travolto dall’affetto degli insospettabili“

Dopo il racconto dell'impatto col coronavirus, la “voce“ di radio Number One spiega il lato umano dell'esperienza

Avarie

Il male, la paura, la lotta. Aveva raccontato ai suoi lettori – e a quelli di Varesenews – cosa vuol dire battersi contro il coronavirus e ora Luca Viscardi, direttore di Radio Number One, spiega anche un altro aspetto della convalescenza cioè la necessità di tornare ad una vita normale riscoprendo piccole cose e l’inaspettato affetto di tanti.
(ac)

“Sto meglio, ma è un’esperienza devastante”

Dopo tre settimane di reclusione, devo rinnovare il mio grazie a tutti, amici, conoscenti, sconosciuti per tutti i messaggi che mi avete inviato di sostegno e di incoraggiamento.

Non mi stancherò mai di dire che mi hanno fatto bene quanto i medicinali presi in questi lunghi 20 giorni.

Se avete qualcuno che non sta bene, se conoscete qualcuno travolto da un TIR come é capitato a me, se tra i vostri amici c’è qualcuno che combatte questa nuova peste, mi permetto di chiedere un po’ del vostro tempo per far sentire un po’ di affetto e di vicinanza, per un messaggio che é come una carezza.

Magari non riceverete risposta, ci sono stati giorni in cui anche impugnare il telefono era una fatica impensabile, ma la vostra energia sarà un aiuto fenomenale.

Molti mi chiedono come sia la malattia, cosa succede: dipende molto dall’intensità con cui si viene colpiti, nel mio caso ad un certo punto si é spento tutto. La testa e il corpo, per un po’ ho come avuto la sensazione che fosse tutto in corto circuito, non avevo più voglia di niente, dal cibo all’acqua, tanto meno di parlare.

I farmaci, fondamentali, sono come l’elettroshock. Dopo averli presi le prime due volte, avevo l’ansia quando vedevo arrivare l’infermiera con la terapia.
Per buttare giù cinque pastiglie mi ci volevano 20 minuti, perché sapevo cosa sarebbe successo poco dopo.

Era come se il corpo venisse totalmente devastato, con un effetto pazzesco sulla testa: non ho dormito, mangiato, bevuto per quasi dieci giorni.

Pensieri paranoici, la testa che sembra un flipper impazzito. L’aiuto dei medici per adattarmi a tutto questo é stato fondamentale.

Poi, un giorno, all’improvviso, si é riaccesa proprio quella la testa che sembrava in tilt.
“Adesso basta”. Un po’ come quando nei film del passato arrivavano i nostri.

Non so cosa sia successo, ma mi sarei alzato e sarei andato al bar. Peccato che il fisico fosse un po’ più indietro e solo cambiare posizione nel letto sembrasse un’impresa eroica.

Adesso sto meglio, riduco l’apporto di ossigeno, scalpito per ripartire e oggi sono riuscito a fare una cosa che ieri mi sembrava banale: sono sceso dal letto e mi sono alzato in piedi. Dopo 21 giorni.

Tutto questo tempo con un sacco di spazio per i pensieri mi ha insegnato diverse cose:

– l’arrosto di mia suocera la domenica é straordinario
– se non mangio una pizza a breve potrei ripetere un giorno di ordinaria follia
l’affetto che mi ha travolto in questi giorni mi ha fatto cogliere la sensibilità e la dolcezza di persone quasi insospettabili.

Abbiamo messo una corazza per difenderci, ma l’amore e l’attenzione per gli altri sta inesorabilmente venendo a galla.

Ancora grazie.

I tre pensieri supremi sono in ordine casuale.

Io, se siete d’accordo, programmerei un’evasione nei prossimi giorni perché ho proprio voglia di tornare a casa dalla mia famiglia, ma soprattutto mi manca la radio da morire.

Credo di non essere mai stato lontano dai microfoni per un mese in 30 anni di lavoro.

Mi mancano le storie degli ascoltatori, le stupidate da condividere con chi ci segue, non vedo l’ora di ricominciare.

Non so se sia una promessa o una minaccia. Vedete voi.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Marzo 2020
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