
Gli sportivi rompono l’isolamento nel nome di George Floyd
Tante le iniziative in diverse discipline, anche da parte di atleti di primo piano come Lewis Hamilton o i calciatori di diverse squadre per protestare contro il razzismo. Una piaga che Uisp combatte da sempre

C’è chi ha scelto di cantare “Freedom”, chi ha pubblicato il pugno chiuso sul proprio profilo Facebook, chi si è inginocchiato come fece il campione di football americano Colin Kaepernick, nel 2016, durante l’inno: il contagio emotivo contro il razzismo ha smosso anche lo sport.
“Justice for George Floyd” è stata la maglietta indossata da Jadon Sancho del Borussia: George Floyd, morto per razzismo, la falsa coscienza dell’America. L’agente Derek Chauvin, che per quasi 9 minuti ha bloccato a terra la vittima, premendo le ginocchia sul collo e sulla schiena dell’uomo è stato arrestato con l’accusa di omicidio di terzo grado.

La protesta sociale è partita dal basso, ha visto protagonisti cittadini, famiglie e associazioni per i diritti civili, giovani e lavoratori, attivisti neri e bianchi, che hanno espresso uno sbarramento al razzismo. E lo sport finalmente è uscito dall’isolamento, l’indignazione e la rabbia hanno scardinato le ipocrisie e le timidezze. I giocatori di Chelsea e Liverpool, così come quelli di Torino e Roma qui da noi, si sono inginocchiati al centro del campo. Lewis Hamilton, per la prima volta nella storia della F1, si è portato dietro tutti i piloti del circo dei motori, in uno «sport per bianchi, dove sinora non si era fatto sentire nessuno».
A inizio settimana c’è stato il primo dei tre funerali previsti e la famiglia Floyd ha affidato il discorso principale al pastore newyorkese Al Sharpton, figura di spicco nelle battaglie per i diritti civili: «Stiamo insieme, americani di diverse comunità e generazioni. Stiamo insieme e stavolta possiamo cambiare le cose».
Nello sport, “cambiare le cose” potrebbe significare smettere di minimizzare sui cori razzisti sugli spalti e sulle offese razziste in campo, come chiede Uisp da tempo. Non minimizzare significa non voltarsi dall’altra parte, significa da parte degli arbitri prendere provvedimenti e sospendere le partite. O anche favorire in tutti i modi l’inclusione attraverso lo sport, consentendo ai molti ragazzi e ragazze rifugiati e richiedenti asilo di inserirsi con piena legittimità dagli ordinamenti sportivi e dai regolamenti federali.
L’impegno antirazzista deve durare tutto l’anno: lo ripete e lo pratica da sempre Uisp che promuove sul territorio decine di iniziative per l’inclusione, contro ogni discriminazione, con l’Almancacco delle iniziative antirazziste e i Mondiali Antirazzisti. Ma anche con proposte come quelle dell’Osservatorio contro le discriminazioni nello sport che Uisp, insieme all’Unar, ha proposto da tempo.
SPECIALE UISP – Tutti gli articoli di VareseNews in collaborazione con UISP Varese
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