
Segregò in casa l’amante, la Procura fa ricorso contro l’assoluzione
Secondo il giudice di primo grado non sarebbe provata lo stato di soggezione della vittima ma la Procura è convinta della colpevolezza dell'uomo con la complicità della moglie

In primo grado erano stati assolti dal giudice monocratico del Tribunale di Busto Arsizio perchè «non era provata la convivenza stabile della vittima nel nucleo familiare» e perchè non vi è prova che i segni sul corpo della parte offesa fossero derivanti da violenze ma la Procura ha deciso di fare ricorso in appello contro quella sentenza nei confronti degli autori di quelli che considera maltrattamenti.

Secondo il pm, M.R e E.S. avrebbero tenuto segregata la ragazza nella loro casa a Busto Arsizio per quasi un mese, costringendola sotto la minaccia della violenza anche nei confronti delle sue sorelle, a fare da serva alla coppia.
I fatti risalgono al 2016 quando la vittima conosce su una chat per incontri M.R., che dice di chiamarsi Giovanni e di essere un giornalista freelance. I due iniziano a frequentarsi, la ragazza era da poco uscita da una storia d’amore finita male e si è fatta ammaliare dalle parole gentili della nuova conoscenza.
Dopo un po’ inizia anche la relazione intima tra i due, fino a quando lui le rivela di non essere un giornalista ma, bensì, un militare attualmente arruolato nei servizi segreti. Le bugie non la fanno desistere e la relazione prosegue ma ben presto iniziano le violenze come quando l’uomo era venuto a sapere che la ragazza si era vista con un suo vecchio conoscente: in quel frangente le danneggia la casa e la insulta.
Iniziano anche le minacce e a queste accompagna la richiesta di andare a vivere a casa sua a cui lei accondiscende – racconta – per paura di ritorsioni nei confronti delle sorelle. Lì scopre che M.R. ha una moglie anche se lui riesce, con l’ennesima invenzione, a convincerla a rimanere. Le racconta che E.S. non è la sua vera moglie ma la sorella e che, per il lavoro nei servizi segreti, è costretto a farla passare per tale.
A casa sua l’uomo, però, avrebbe dismesso completamente le vesti del tenero amante delle prime settimane e avrebbe iniziato a trattarla come una serva. Non manca nemmeno il desiderio di soddisfare le proprie voglie, fino a spingerla a chiedere ad amiche o parenti rapporti a tre.
Alla ragazza viene distrutto il telefono e ordinato di occuparsi della casa e della spesa con compiti da eseguire alla lettera, le viene imposto di dormire sul divano e la chiudono in soggiorno tutte le notti per quasi un mese, non dandole nemmeno la possibilità di utilizzare i servizi igienici. La ragazza teme per le sue sorelle e accetta tutto di buon grado, anche le botte che arrivavano sempre più frequenti: pugni in testa, calci alle gambe, mani schiacciate dai pesanti anfibi militari che era costretta ad allacciargli ogni giorno. Per il giudice, però sarebbero molte le lacune in questa storia, non tanto dal punto di vista delle condotte quanto dal contesto di minaccia (nelle motivazioni cita anche il video di una gita in montagna in cui lei appare sorridente .
La segregazione sarebbe andata avanti per un po’, fino a quando un’amica (mentre era a fare la spesa per la coppia, ndr) riesce ad intercettarla e a convincerla ad andare a fare denuncia. La ragazza è sconvolta, ha segni sulle gambe e sul viso e il successivo intervento dei Carabinieri lo accerterà. Da quel momento la ragazza non fa più rientro a casa di M.R. e va a stare dalla sorella. Nonostante tutto marito e moglie, nei giorni successivi hanno continuato a perseguitarla facendosi vedere davanti alla lavanderia della donna e guardandola con occhi di sfida.
La sentenza di primo grado è arrivata a gennaio del 2021 e assolve M.R. dai reati di maltrattamenti, stalking e lesioni personali perchè il fatto non sussiste mentre la moglie E.S. è stata assolta dall’accusa di stalking. Ora saranno i giudici dell’appello a doversi esprimere su questa vicenda.
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