Turismo sul lago: gli svizzeri si vedono solo col binocolo

Alberghi aperti ma vuoti, strutture che sperano nel cambio di colore per accogliere gli ospiti. “Il settore al lumicino, occorrono prestiti a medio e lungo temine”

Generica 2020

Lontani sono i ricordi di quando i cronisti locali parlavano di “pacifiche invasioni“: le orde attese di turisti da tutte le provenienze, la gara per carpire ogni lingua, pelli candide che si godevano il sole in bermuda sulle panchine del porticciolo di Laveno o sul lungolago di Luino.

Il fritto di pesce al ristorante, il panino per le famigliole numerose e via, in gita sulle isole o a gustarsi i panorami.

Ora questi sono solo ricordi che sul Lago Maggiore però hanno il sapore dei sogni a metà: se i nostri albergatori piangono, quelli ticinesi accolgono a braccia aperte le decine di migliaia di svizzeri tedeschi profittevoli dell’assenza di limiti negli spostamenti fra cantoni che si sono per tempo prenotati la vacanza sul lago.

Beninteso: da sempre arrivano “i tedeschi“ in Ticino, ma non con presenze così numerose almeno leggendo gli organi di stampa d’oltreconfine che parlano di almeno 80 mila arrivi nella settimana di Pasqua sui lidi del Verbano svizzero, tanto da obbligare diverse municipalità a prendere provvedimenti per l’obbligo delle mascherine all’aperto in alcune aree.

A casa nostra quei turisti li si vedono solo col binocolo, letteralmente. A Luino Giorgio Petrucci, albergatore dell’Internazionale risponde sì, al telefono della hall ma non per prendere le prenotazioni. «Chiamano piuttosto per sapere quale sarà il vero inizio della stagione turistica. Chiamano olandesi, svizzeri, tedeschi, insomma la nostra solita clientela che comprende anche diverse presenze di lingua francofona. Anzi, “comprendeva“, dal momento che è tutto fermo».

Petrucci è sempre stato aperto anche durante i lockdown dal momento che oltre alla clientela leisure – che non c’è – offre camere per il personale viaggiante sui treni, una sorta di servizio pubblico che in questo momento, seppur al lumicino, lo aiuta a coprire i costi, al minimo di gestione.

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Chi invece non ha ancora acceso le luci, è Leonardo Luz, del Camin Hotel di Luino (foto qui sopra), residenza storica per vacanze di livello che si affaccia direttamente sul lago, ma gli ombrelloni per le colazioni col sottofondo di musica, e quell’ambiente raffinato e internazionale che si respira al mattino in giornale come queste, aiutate dalla brezza di lago, sono solo un triste ricordo: bisognerebbe riportare indietro i fogli del calendario a due anni fa per poterle rivivere.

«Quando apriremo? Difficile stimarlo con precisione, io credo verosimilmente a fine maggio, purtroppo non ci sono misure chiare, manca l’orizzonte temporale certo per una pianificazione, quindi ci tocca navigare a vista, fare delle stime che si debbono confrontare con la velocità di diffusione del virus, l’andamento della campagna vaccinale e soprattutto con i cambi di colore della Lombardia: credo che difatti la Svizzera non riaprirà le frontiere prima di un passaggio in zona gialla, di conseguenza dobbiamo prepararci a questa evenienza. Dal mio punto di vista non posso aprire, non posso scaldare i motori di una macchina coma il Camin per poi richiudere dopo due settimane».

I costi fissi sono elevati, spiega Luz, «e l’atteggiamento dell’amministrazione purtroppo non aiuta: avevo chiesto la possibilità di una attenuazione dell’Imu e della Tari. Risultato: ieri mi hanno spedito gli F24 per pagare 18 mila euro di Imu. Idem per la tassa sui rifiuti: l’anno scorso siamo rimasti aperti in tutto 3 mesi e 26 giorni, ma mi tocca pagare come per un anno normale, 9 mila euro. Non stupiamoci se un giorno non ci saranno più alberghi in città».

La tensione è alta, il momento cruciale per una categoria che è stata più che colpita, travolta, dalla pandemia. Gli operatori chiedono misure di sistema. Frederik Venturi, presidente di Federalberghi della provincia di Varese parla di strutture che da un anno con l’altro sono arrivate a perdere fino all’80% del fatturato. «I ristori non sono lo strumento sufficiente per affrontare questa crisi. Penso piuttosto che lo Stato debba mettere in pista prodotti finanziari adeguati per il settore».

Quali? «Prestiti a medio-lungo termine con garanzie immobiliari. Purtroppo il sistema bancario non è strutturato per affrontare prestiti di questo genere. Allora in questo momento lo Stato dovrebbe intervenire per studiare un sistema che consenta ai proprietari delle strutture ricettive di poter ricevere prestiti dal sistema bancario ponendo a garanzia il valore dell’immobile. Io sono disponibile a rischiare il mio patrimonio immobiliare per mandare avanti l’azienda, ma bisogna prendere coscienza che due anni su tre di fatturato sono andati in fumo. Sono sicuro che il sistema si riprenderà, ma bisogna dare a tutte le imprese italiane un orizzonte di finanziamento almeno del 30% del valore dell’immobile».

La chiosa di Venturi è parecchio amara: «Siamo di fronte a un cataclisma che non ha precedenti. Hanno chiuso alberghi che non si sono fermati nemmeno durante la Seconda guerra mondiale».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 02 Aprile 2021
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