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“Chi ha tolto gli striscioni a Cazzago ha paura del confronto”
Con una lettera firmata un cazzaghese lamenta il fatto che siano stati rimossi teli con scritte contro l'operato dell'amministrazione comunale: "Erano un’esternazione di disagio e rabbia di fronte a promesse disattese"
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Avendo tempo e buona volontà sarebbe possibile dipanare con pazienza il groviglio di errate scelte stratificatesi negli anni all’interno dei Consigli comunali di Cazzago Brabbia.
Non ci è dato sapere se il tempo manchi, sicuramente manca la buona volontà, così si continuano a battere ostinatamente gli stessi malsani sentieri, e solo un’esigua minoranza dissente da tutto ciò.
Questa è comunque la premessa per meglio inquadrare un accadimento che è importante sottolineare.
Le poche righe che seguono sono infatti una denuncia di un atto che ha voluto mirare all’azzeramento di un sentire democratico e pluralista.
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In sintesi: non molti giorni fa, un cazzaghese ha strappato lo striscione di denuncia alle iniziative intraprese dal sindaco e dal consiglio comunale, steso in Piazza della Libertà (impietosa la dissonanza tra il gesto compiuto e il nome del luogo). Dopo di che l’autore dello strappo, non solo si è autogiustificato, ma, anche se velatamente, autocelebrato per aver inibito la lettura di questa scritta ai compaesani. Sono seguiti gli elogi e la solidarietà di chi ha condiviso questo atto “eroico”, definendo lo striscione “fascista” perché non firmato.
Ora, credo che nessuno si sia mai sognato di pretendere che l’esternazione, a mezzo di un manifesto, di una diversa opinione o di una denuncia a scelte discutibili, debba essere firmata. Uno striscione di piazza, non è una raccolta firme, né una lettera anonima; sarebbe come pretendere che le schede elettorali debbano essere firmate perché assumano una valenza democratica: chi non firma la scheda è un “fascista”?!!
Se colpisce nel segno uno striscione di denuncia è illuminante come il bagliore di un lampo, evita lo svilimento burocratico, incuriosisce e avvia un processo di riflessione; non è una lezione impartita ma un’esternazione di disagio e rabbia di fronte a promesse disattese.
Qualsiasi libera intelligenza si schiera dalla parte di chi mette in piazza un comportamento di poca chiarezza da parte di chi gestisce la “cosa pubblica”.
Lo strappare una scritta di denuncia adducendo lo stupido pretesto che non è firmata è l’atto veramente “fascista”.
Il nascondere è parente stretto della menzogna, lo strappare una parola scritta è ancora più che celarla, è un volerla togliere a qualsiasi possibilità di confronto, negarla, sapendo che la parola, una volta letta, non può morire.
Quando si vorrebbe annientare un messaggio scritto, si arriva inevitabilmente a bruciare i libri, com’è successo in un lontano passato alla Biblioteca di Alessandria e, in un passato molto più recente, con i roghi in piazza, attizzati da dittatori di cui è superfluo ricordare il nome; questo è il totalitarismo che non ammette controparti.
È mai passato per la mente di chi ha strappato la scritta e di coloro che lo affiancano che forse, a una lettura più attenta e meno univoca, Dio disfece la Torre anche per poter essere invocato da più parti e con molti nomi diversi?
Tutto ciò dovrebbe essere motivo di riflessione, sempre che questo “esercizio mentis” sia ancora una scelta di chi ha veramente voglia di allargare i propri spazi di conoscenza, confrontandosi con le opinioni di altri. Quanto è accaduto lascia affiorare seri dubbi in proposito!
Comunque sia, coraggio! Non si deve docilità a chi non permette obiezioni.
Giovanni Zanardi
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