Dal coraggio di Rita Atria alle storie di provincia: tre scuole unite nel ricordo di Falcone e Borsellino
Si è svolto l'ultimo atto del progetto realizzato dal liceo Ferraris insieme ai comprensivi di Laveno e Cuveglio nell'ambito del progetto "Praticare la legalità per contrastare le mafie" promosso da Libera
“Il coraggio di parlare, l’impegno a ricordare”: è questo il titolo scelto per commemorare il 30esimo anniversario della strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta. Due mesi dopo anche Paolo Borsellino, amico e collega, rimase vittima di un agguato.
Gli studenti del liceo Ferraris” di Varese, della scuola secondaria di primo grado “G. Marconi” di Cuveglio e dell’ITEP “G. Galilei” di Laveno Mombello hanno voluto ricordare le stragi di Capaci e via D’Amelio con un progetto che si è sviluppato in tre percorsi multidisciplinari e multimediali, lavoro che ha avuto la sua conclusione lo scorso 19 maggio, nell’Auditorium “San Giovanni Bosco” a Varese. Partner dell’iniziativa è stata l’Associazione Libera Varese, nell’ambito del bando “Praticare la legalità per contrastare le mafie”, finanziato da Fondazione Comunitaria del Varesotto e dal Fondo “D. Dolci”, per diffondere l’educazione alla cittadinanza attiva e alla legalità, per la formazione di una cultura della partecipazione e dell’impegno dei giovani, in grado di innescare processi di cambiamento migliorativo nel proprio territorio.
Nell’auditorium San Giovanni Bosco erano presenti alcuni rappresentanti della FOCOVA, del Fondo “D. Dolci”, l’Assessore alla Cultura Enzo Laforgia, l’Assessore ai Servizi Educativi Rossella Dimaggio e l’Assessore alla Polizia Locale Raffaele Catalano, la Dirigente Scolastica dell’Ist. Comprensivo di Cuveglio Prof.ssa Emanuel Sonzini, il Sostituto Procuratore della Repubblica di Varese dott. Lorenzo Dalla Palma, il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Varese Luogotenente Giovanni Piredda e il referente del Comando della Guardia di Finanza di Varese.
L’Assessore Laforgia ha ricordato la figura di Danilo Dolci sottolineando l’impegno e l’interesse del Comune di Varese, della Fondazione Comunitaria del Varesotto e del Fondo “Danilo Dolci” a sostenere progetti educativi che hanno la finalità di mantenere vivo il ricordo delle vittime delle mafie per diffondere l’educazione alla cittadinanza attiva e alla legalità.
La rappresentate dell’Associazione Libera di Varese, Antonella Buonopane ha illustrato le motivazioni educative e formative poste alla base del progetto, sottolineando l’importanza della collaborazione con le scuole e del mondo delle associazioni locali per contrastare il fenomeno mafioso ormai presente anche nella provincia di Varese.
[lefoto id=1305751]I primi a presentarsi al pubblico sono stati gli studenti delle classi prime della Scuola Secondaria “Marconi” dell’Ist. Comprensivo di Cuveglio, guidati dalla regista Silvia Sartorio e dai proff. Gianceleste Pedroni, Rosario Nucifora, Ylenia Reviezzo e Marta Pavoni. Hanno proposto uno spettacolo teatrale dedicato ad un fatto di cronaca legato alla ‘Ndrangheta avvenuto negli scorsi anni in provincia di Varese. Uno spettacolo coinvolgente non soltanto per storia oggetto del racconto, ma anche per la semplicità e l’intensità con la quale i ragazzi l’hanno rappresentata.
È stata poi la volta dei ragazzi delle ultime classi dell’ITEP “G. Galilei” di Laveno Mombello, guidati dall’esperto Edoardo Mangini, dal vice preside prof. Riccardo Marcerano e dalla prof.ssa Marianna Momi che hanno realizzato un progetto multimediale contenente varie interviste e tanti spunti di riflessione sulla effettiva conoscenza e sull’interpretazione del fenomeno mafioso da parte dei ragazzi che vivono in provincia di Varese.
Ha concluso la rassegna la classe 3^ L del Liceo Scientifico Ferraris guida dalla regista Silvia Sartorio e dai proff. Marina Nicora ed Enrico Brusaioli che ha proposto uno spettacolo teatrale con musiche dal viso dedicato alla figura di Rita Atria, giovane collaboratrice di giustizia, appartenente ad una famiglia mafiosa siciliana, morta suicida dopo l’uccisione del giudice Paolo Borsellino, il primo magistrato a raccogliere le sue dichiarazioni e a sostenerla come una figlia nel corso di quei lunghi mesi di collaborazione con la magistratura e le forze dell’ordine. Uno spettacolo intenso, a tratti commovente, che ha messo in luce la sensibilità, la fragilità e le paure di una giovane adolescente chiamata a combattere contro la sua famiglia e il suo mondo per affermare il principio di legalità.
Al termine, il dirigente scolastico del Liceo “Ferraris” Marco Zago, in qualità di preside dell’Istituto capofila della rete di scuole che ha realizzato l’iniziativa, nel ringraziare tutti gli studenti, i docenti e tutti gli esperti che hanno contribuito con grande impegno alla realizzazione di questo importante appuntamento, ha sottolineato che progetti come questo, che vedono coinvolti studenti appartenenti a scuole di diverso ordine, diverso indirizzo e che operano in zone diverse della provincia, rappresentano un grande momento di condivisione e di crescita per tutti i partecipanti.
Ha ribadito l’importanza dell’appuntamento con la “memoria”, intesa quest’ultima sia come diritto alla memoria delle nuove generazioni, ovvero diritto di conoscere quello è accaduto per evitare di ripetere gli stessi errori sia come dovere della memoria che sta in capo agli adulti, ai rappresentanti politici, ai funzionari pubblici e in particolare agli educatori, ai docenti e più in generale alle scuole che hanno il compito di educare gli studenti alla legalità, alla cittadinanza attiva e alla cultura della partecipazione e, infine, come opportunità della memoria ovvero come opportunità di creare occasioni di condivisione del sapere e delle esperienze tra generazioni per creare momenti educativi e formativi capaci di modificare e agire positivamente sulla realtà che ci circonda.
«È necessario mantenere vivo il ricordo di quanto accaduto negli studenti e nelle nuove generazioni – ha commentato il preside Zago – per evitare che il fenomeno e la mentalità mafiosa si diffondano ancora una volta nel nostro tessuto sociale, poiché la mafia si combatte soprattutto con la cultura della legalità prima ancora che con l’attività repressiva delle autorità competenti, perché come ha ricordato più volte il giudice Giovanni Falcone “si può essere mafiosi senza essere criminali”».
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