Pudore e reticenze. Al processo per pedopornografia di Busto Arsizio sfilano le prime testimoni

La vicenda riguarda un uomo di 47 anni che si celava dietro falsi profili sui social per farsi inviare immagini di nudo da ragazze di 14 anni. Le prime tre giovani testimoni hanno negato l'invio di foto osè

tribunale di busto arsizio

Il processo al 48enne di Sumirago accusato di produzione e detenzione di materiale pedopornografico davanti al collegio del Tribunale di Busto Arsizio è proseguito quest’oggi con le testimonianze dell’accusa, tra le quali anche tre ragazze minorenni come testimoni.

Pedopornografia, processo per un 48enne di Sumirago che adescava minorenni sui social

L’esame delle tre ragazze, delle quali due sono sorelle del 2005 e del 2007, ha messo in luce la ritrosia da parte di tutte e tre ad ammettere di avere avuto contatti con l’imputato che si sarebbe celato dietro la falsa identità di un ragazzo di 19 anni, attraverso il quale sarebbe entrato in contatto con loro prima tramite Instagram e poi su Whatsapp, senza mai farsi vedere in faccia. Proprio quando riusciva a spostarsi sull’app di messaggistica instantanea iniziava la richiesta di immagini delle ragazzine (di età compresa tra i 14 e i 16 anni, ndr).

Una ritrosia ad ammettere i contatti che ha lasciato perplessi, in alcuni momenti, anche i giudici del collegio presieduto dal presidente della sezione penale Giuseppe Fazio, in particolare quando le due sorelle non si sono nemmeno riconosciute nelle foto dei loro documenti di identità. Il pubblico ministero Francesca Gentilini non le ha inserite tra le parti offese perchè i contatti intercorsi con l’imputato non erano stati considerati sufficienti a reggere in giudizio ma dalle analisi delle consulenti informatiche i loro numeri di telefono risultavano tra quelli contattati dal sumiraghese. Una delle tre, però, ha ammesso di aver avuto contatti con un utente che potrebbe corrispondere ad uno dei profili falsi creati dall’uomo sostenendo di non aver dato seguito alle sue richieste di inviare immagini di nudo. Due su tre hanno anche riconosciuto la foto del giovane usata per celare la propria vera identità.

Contraddizioni, probabilmente dettate dal disagio di dover ammettere qualcosa che tocca la sfera del privato ma che non sono sfuggite ai giudici e che aprono uno spaccato inquietante sul rapporto tra giovani e social di cui sempre più spesso le aule di tribunale diventano parte in causa.

Oltre alle ragazze è stato sentito anche il papà affidatario di una delle parti civili che ha raccontato come ha scoperto che la ragazza era entrata in contatto con il 48enne. I fatti risalgono al 2020 e alla giovane, affetta da un ritardo cognitivo certificato, era stato da poco concesso di aprire un profilo Instagram in quanto aveva ormai compiuto i 13 anni ma sotto stretto controllo dei due genitori affidatari: «Le controllavo le chat di whatsapp tramite whatsapp web e le foto grazie a Google Foto, accedendo al suo account. Quando ho iniziato a vedere scatti osè e un paio di video inviatigli da qualcuno in cui si vedeva un atto di automasturbazione ci siamo allarmati e abbiamo avvisato l’assistente sociale che ha deciso di toglierle l’uso del telefonino. Sempre a lei avevo consegnato una chiavetta con tutto il materiale che avevo raccolto dalle chat».  A confermare la versione del padre anche la stessa assistente sociale chiamata a testimoniare.

Nelle prossime udienze dovranno essere sentite, anche su richiesta della difesa dell’imputato, le 20 parti offese. Si tratta di ragazze minorenni che non si sono costituite come parti civili ma per le quali la Procura di Milano ha raccolto gli elementi necessari per poter provare i reati contestati all’imputato.

 

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Luglio 2022
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