Terapia shock per il pianeta Terra

La Terra ha una malattia autoimmune. Serve una terapia nuova: lockdown a guerre e combustibili fossili. Governo mondiale e peso di voto progressivo per età

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La pandemia da Covid-19 prima, e la guerra Russia-Ucraina poi, hanno messo K.O. l’agenda della transizione energetica globale. Malgrado i proclami, il 2021 è stato l’anno in cui si sono registrate le maggiori emissioni di sempre. La guerra ha spostato completamente le priorità della politica. Oggi si parla di corsa agli armamenti, con stanziamenti miliardari per la costruzione di armi, non per pannelli solari e transizione energetica. Le conseguenze della guerra stanno facendo invertire decenni di disarmo e i modesti passi verso la riduzione dell’uso di fonti fossili, con la riapertura di centrali a carbone, estrazione di petrolio e gas in luoghi che erano già stati chiusi o mai aperti. La situazione a livello globale è peggiore rispetto al 2019 in cui già non brillavamo per scelte di sostenibilità ambientale.

Servono decisioni politiche, che non si prendono perché parlare di clima e futuro non porta consenso ed eventuali risultati li vedono le generazioni future. La politica non ha più la forza di guardare al lungo termine. Le coalizioni sono fragili, poggiate sulla divisione e la contrapposizione sociale e il potenziale virale dei messaggi sui social. Domina l’imperativo estetico-retorico nelle scelte di voto, (quando ci prendiamo la briga di farle), come se fossimo sempre al festival di Sanremo. Siamo abituati dal circo mediatico ad andare da emergenza a emergenza. Cinghiali e peste suina africana, morti sul lavoro e femminicidi, mancanza di grano e di anidride carbonica per fare l’acqua gasata, crolli di ponti e di ghiacciai, ondate di caldo e di Covid, inflazione e deflazione. È una ratatouille quotidiana senza tregua né esito. Bastano 3 giorni di pioggia per far dimenticare l’emergenza. E avanti il prossimo.

La crisi climatica e ambientale e le sue soluzioni vanno messe al centro delle scelte, delle priorità, della conversazione. Non con il green washing delle chimere futuribili, come il nuovo nucleare, la cattura dell’anidride carbonica o della fusione nucleare e dell’idrogeno. Sono tutte tecnologie interessanti, ma non usufruibili su scala massiva ancora per molto tempo. E il tempo non sta scadendo, ormai è già scaduto. Siamo già a +1,2 °C di aumento delle temperature, quindi, ci resta lo 0,8 °C da qui a fine secolo e la tendenza non è favorevole. I dati e gli scenari scientifici sugli effetti dell’accelerazione del riscaldamento globale oltre i due gradi entro la fine del secolo sono rimasti finora largamente inascoltati (fallimento dell’accordo di Parigi, inefficacia dei vari COP). È prevedibile che gli eventi meteorologici estremi continuino ad aumentare per intensità e frequenza: siccità pluriannuali, inondazioni improvvise, incendi su vasta scala, uragani, desertificazione di zone agricole, scioglimento dei poli e scomparsa dei ghiacciai e delle stagioni come le abbiamo sempre conosciute; fenomeni nuovi come la risalita del mare nei fiumi (30 km nel nostro Po), avranno effetti sulle specie costrette a migrare o estinguersi. Questi campanelli d’allarme vanno trasformati in scelte coerenti, non in azioni d’immagine spesso inefficaci, a volte controproducenti. Se rimaniamo entro i 2 °C, ci saranno ancora eventi estremi. Però le simulazioni ci dicono che, pur con difficoltà, potremmo adattarci a quel tipo di clima.

Il problema come sempre è che ci sono interessi diversi e in parte contrapposti tra chi ha situazioni da proteggere e chi potrebbe offrire soluzioni (posizioni di mercato e posti di lavoro da difendere – energia, trasporti, armi, agro-alimentare, finanza vs. rinnovabili, infrastrutture sostenibili, economia circolare e locale, redistribuzione delle risorse etc.).

A chi tocca fare le scelte? Se ormai il mondo è globalizzato, ma la competizione è tra attori asimmetrici quali stati, imprese multi-nazionali, coalizioni di poteri, bisogna cambiare piano. «Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo» diceva Albert Einstein. Il problema qui è moooolto complesso. Ma questo non significa che: 1. non ci siano dei responsabili; 2. che non ci siano delle soluzioni; 3. che non ci si debba provare. Ci sono alcuni detti che rappresentano la mentalità con la quale a volte affrontiamo la vita. “Non siamo mica qui ad asciugare gli scogli; a mettere i calzini ai millepiedi; a pettinare le bambole; a guardarci l’ombelico”. Fare scelte intelligenti non è banale. È più facile raccontarci che noi non ci possiamo fare niente, che è colpa e responsabilità di altri, che non siamo certi che le soluzioni funzioneranno e saremo capaci di attuarle, che sia urgente attivarsi ora e così via. Il primo passo è la presa di consapevolezza, e conseguentemente di responsabilità, che siamo parte del problema e possiamo, e quindi dobbiamo, essere parte della soluzione. Ogni italiano emette in media 7 tonnellate di anidride carbonica. L’Unione europea dice che entro il 2030 bisognerà dimezzare sostanzialmente questo numero. Il programma Fit for 55% afferma che al 2030 ognuno di noi deve emettere 3500 kg di CO₂ anziché settemila.

Al momento il mondo conta su un mix energetico all’85% rappresentato da fonti fossili. Dobbiamo semplicemente ridurre tutte le nostre emissioni, a partire dalle attività che comportano l’uso di energie non rinnovabili e fermando la deforestazione, soprattutto delle grandi foreste tropicali. Dobbiamo cambiare l’alimentazione basata sull‘allevamento intensivo del bestiame, che contribuisce sensibilmente alla produzione di metano, il secondo gas a effetto serra più importante dopo la CO₂. Quindi fondamentalmente noi dobbiamo ridurre gli sprechi e spostarci verso un’economia che sia fondata sulle energie rinnovabili. Per fare questo bisogna anche investire su tecnologie sostenibili e saper rinunciare a qualcosa, puntando a una nuova moderazione energetica. Ognuno di noi deve interrogarsi su come vive oggi e come fare a tagliare del 50% tutto quello che fa. Alcune cose si possono fare semplicemente rinunciando. Per esempio, organizzando una riunione di lavoro via web anziché usare auto o, peggio, aereo, per muoversi. Altre azioni comportano investimenti, per esempio di riqualificazione energetica dell’edilizia. Il mio vicino di casa Stefano ha cambiato tutti i serramenti mettendo i tripli vetri e la caldaia a poma di calore, riducendo così i consumi e la bolletta del 50%. Si può mangiare una bistecca di meno alla settimana, andare in auto con un collega in car pooling, mettere le lampadine a LED e leggere un e-book. Infine, bisogna puntare a operare scelte di economia circolare, evitando tutto quello che rappresenta un usa e getta. Le mie figlie e loro amiche mi colpiscono spesso per i loro abiti elegantissimi, rigorosamente di seconda mano.

Infine, serve riportare l’immaginazione al potere. Un governo globale capace di imporre un lock- down sulle guerre e l’uso dei combustibili fossili, evitare la proliferazione unilaterale degli armamenti, puntare sulla riconversione delle risorse verso la trasformazione verde e inclusiva. Dobbiamo immaginare che le scelte le facciano coloro il cui destino è più impattato. Per quelli che non sono ancora nati, serve una carta costituzionale dei diritti delle generazioni future. Per farlo sarebbe utile dare un peso maggiore ai giovani nelle scelte politiche. Come abbiamo fatto con la tassazione progressiva dei redditi, possiamo immaginare che il peso del voto sia maggiore progressivamente con l’età più giovane dei votanti, anche fino ai 14 anni. Che incentivo ha un baby boomer come me a votare a favore di scelte che comportano sacrifici oggi i cui benefici si vedranno dopo che sono morto? Che il mio voto conti, dunque, una frazione di quello di chi ha ancora tutta una vita davanti. È tempo di andare oltre l’equazione una testa, un voto.

“Quando il cittadino è passivo è la democrazia che s’ammala”, Visconte Alexis De Tocqueville.

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Pubblicato il 10 Luglio 2022
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