Il sistema delle residenze per anziani e disabili è in grande sofferenza: ogni giorno si perdono 10.000 euro
Il no profit garantisce oltre il 70 percento dell’offerta complessiva. Secondo Uneba, le difficoltà vanno risolte con un adeguamento di budget e tariffe del fondo sanitario regionale e strumenti straordinari di supporto da parte del governo
Grido di dolore del sistema delle residenze per anziani e disabili. L’associazione Uneba, che raduna 450 associati del mondo no profit tra rsa, rsd, Adi , centri diurni, fa i conti economici delle proprie realtà e sottolinea le troppe difficoltà di un ambito che ha ancora molti punti critici.
Il settore delle residenze per anziani offre 300 posti nel settore pubblico, 15459 nel privato profit e 49.860 nel privato non profit. A quesi si aggiungono i CDI che offrono 7838 posti. Le residenze per disabili hanno 4315 letti di cui 3925 nel non profit privato e 290 nel privato profit. In totale le residenze per anziani hanno 73.457 posti mentre quelle per disabili 15.796.Per le cure intermedie di contano 2.675 posti nel privato non profit e 140 nel privato profit. Il sistema delle sola residenzialità dà lavoro a oltre 40mila dipendenti con gradi di scolarizzazione tali da non essere sempre di semplice reinserimento in caso di crisi aziendale.
« I dati sopra esposti – commenta l’avvocato Luca Degani Presidente di Uneba Lombardia – evidenziano l’incidenza del mondo noprofit nei servizi sia residenziali che diurni rispetto al settore tutela anziani e disabili. Il no profit è oltre il 70 percento dell’offerta complessiva. I medesimi dati percentuali sono relativi anche alle attività domiciliari. Calcolando che, per ogni posto letto, abbiamo poco meno di un operatore a servizio della persona fragile, la copertura in Lombardia solo per attività diurne e residenziali arriva quasi 100mila lavoratori, numero che si supera aggiungendo la domiciliarità. Questo il motivo di tanta pressione, visto il doppio costo sociale, laddove non intervenissero supporti nel breve».
Lo studio è stato condotto per evidenziare le difficoltà economiche che le singole realtà devono affrontare per il terzo anno consecutivo. Costi di gestione in continuo aumento: « Evidentemente per una realtà no profit l’obbiettivo non è sopravvivere aumentando le rette ad ospiti e famiglie – sottolinea il presidente Degani – Le perdite per ogni singolo ente sono superiori ai 250 mila euro mesi. Per una giornata di degenza, le perdite si aggirano attorno ai 10.000 euro. I motivi sono plurimi: gli aumenti energetici, l’aumento del costo del lavoro (soprattutto a livello professionale medico ed infermieristico), l’inflazione sui beni di prima necessità. Gli strumenti che potrebbero sostenere meglio la tutela di ospiti e famiglie e la continuità dei servizi potrebbero essere un adeguamento di budget e tariffe di fondo sanitario regionale (ed obbiettivamente è aperto un tavolo in tal senso) e strumenti straordinari di supporto da parte del governo. Un esempio eclatante potrebbe essere aprire anche al noprofit il credito di imposta/previdenziale per le forti differenze di aumento dei costi energetici».
Le RSA nel 2021 hanno registrato una saturazione dei posti letto dell’88,7% mentre le RSD del 93,6%. Di contro, i costi totali ammontavano a 350.657.403 euro, per una spesa media quotidiana di 113 euro mentre nelle RSD i costi totali erano stati di 265.201.462 con un costo medio quotidiano di 181 euro. Le spese, viceversa, erano di 272.932.816 alle RSA per un costo medio di 116 nelle RSA e di 46.276.924 e un costo quotidiani di 174.
Nel 2022 le entrate nelle RSA, fin a oggi, sono state di 274.798441 a fronte di costi per 304.560.611, a livello giornaliero si parla di uscite per 126 euro a fronte di 114 euro di entrate. Nel settore RSD non va meglio con 51.736.462 costi totali ( 188 euro al giorno) contro entrate per 49.386.624 euro ( 180 euro al giorno).
A mettere in difficoltà il sistema, spiega Uneba, ci sono anche altre ragioni: «aver attuato una riforma della sanità territoriale per ora incentrata solo sulle infrastrutture murarie (creando nuovi luoghi quali case ed ospedali di comunità ma senza pensiero sulla necessità di trovare nuovi professionisti da dedicarvi), aver previsto una riforma dell’assistenza domiciliare troppo incentrata sulle prestazioni (senza avere professionisti da dedicare) e non sulla adeguamento domotico degli spazi di vita e sul telemonitoraggio».
«Riforme sostanzialmente senza visione di insieme che mettano a sistema luoghi, risorse umane e risorse economiche – commenta ancora l’avvocato Degani – Riforme che parlano di cronicità ma che rischiano di mettere a rischio le fragilità anziane e disabili».
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