“La lotta alla mafia passa dal rifiuto delle scorciatoie“
Il capo dell’Anticrimine Francesco Messina e il sostituto procuratore Cecilia Vassena incontrano gli studenti del liceo del Tigli
I 600 chili di coca sequestrati in pieno lockdown nella piana di Gioia Tauro. Il «welfare» della Ndrangheta che aiuta chi è in difficoltà economica per poi stritolare, spolpare, privati e sopratutto imprese. Le mafie godono purtroppo si sana e robusta costituzione e non vengono scalfite dal covid, anzi.
Succede tanto in Calabria all’ombra dello stretto, o in Campania, quanto in Lombardia, nel Varesotto, o in Brianza (recentissima l’indagine della dda di Milano fra Saronnese, Busto Arsizio e provincia di Monza) ed è un fenomeno radicato, non frutto di semplici infiltrazioni, «termine che abbiamo abbandonato oramai da diversi anni: qui la criminalità organizzata c’è».
Parola di Cecilia Vassena, per 10 anni alla dda di Milano oggi, sabato 29 ottobre sul palco del liceo scientifico «Dei Tigli» di Gallarate che ha incontrato centinaia di studenti assieme ad un altro interprete della lotta alla mafia, Francesco Messina direttore centrale dell’Anticrmine, che attraverso le sue quattro principali emanazioni (servizio centrale operativo, anticrimine, controllo del territorio e investigazioni scientifiche) rappresenta il braccio operativo della polizia di stato.
All’incontro organizzato dal presidente dell’associazione per la legalità «Volarte» Adelio Airaghi e dalla preside del liceo scientifico Nicoletta Danese hanno partecipato centinaia di studenti. Le domande dei ragazzi sono state diverse, da quella quasi provocatoria circa la necessità di catturare il mafioso Matteo Messina Denaro («lo faremo», ha promesso il numero uno dell’Anticrimine) a quelle che chiedevano quali comportamenti ha il singolo per opporsi allo strapotere delle cosche, dei «Locali» di ndrangheta.
«Schiena dritta ed evitare e scorciatoie», hanno risposto senza mezzi termini il poliziotto e la magistrati che hanno anche spiegato come negli anni sia cambiata la lotta alle mafie. «Negli anni Ottanta non sapevamo come fosse strutturata ‘ndrangheta o Cosa nostra. Oggi ogni comando dell’Arma, ogni commissariato con squadre investigative è in grado di gestire un’indagine antimafia», ha spiegato il prefetto Francesco Messina. Questo che grazie alle inchieste della magistratura che hanno permesso di sfruttare il sapere empirico maturato dalla polizia giudiziaria sul campo col bagaglio offerto dai primi pentiti di mafia, «come Antonino Belnome», ha ricordato Cecilia Vassena, pubblica accusa nel processo “Infinito“ scaturito dall’operazione di 12 anni fa.
Un appuntamento sentito e condensato, che alla fine delle due ore ha lasciato in bocca il gusto di una buona lettura sul tema, utile a capire a che punto siamo nella lotta all’illegalità che non si è fermata con la pandemia quando le organizzazioni mafiose hanno saputo riposizionarsi al volo sfruttando in alcuni casi gli stessi benefici economici destinati alla società sana.
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