Posata la pietra d’inciampo di Lotte Froehlich, che dà le spalle all’ex Casa del Fascio di Gallarate

La cerimonia per la posa della terza pietra d'inciampo a Gallarate che ricorda Lotte Froëhlich Mazzucchelli. Fu catturata nel 1943 dalle SS mentre si trovava sul Lago Maggiore e venne trucidata insieme alle altre vittime all'Hotel Meina

pietra inciampo Gallarate

Una pietra d’inciampo in ricordo di Lotte Froëhlich Mazzucchelli in piazza Garibaldi a Gallarate, con la scritta che «non a caso volge le spalle all’ex Casa del Fascio» (palazzo Minoletti): questa mattina, venerdì 1 ottobre, è stata posata la terza ed ultima pietra in ricordo delle vittime della Shoah.

La cerimonia è stata preceduta e accompagnata da alcuni brani musicali eseguiti da due studentesse del Conservatorio Puccini, Marina Moro e Silvia Raniolo.

«Ci chiediamo tutti noi oggi, come sia stato possibile – in Italia come in Germania – la crescita di un sentimento antisemita così forte da rendere giustificabile in alcune coscienze prima la discriminazione, poi la persecuzione, infine la deportazione in campi di sterminio, se non addirittura l’immediata eliminazione di cittadini ritenuti di razza inferiore», hanno preso la parola Angelo Protasoni dell’associazione Mazziniana italiana, e Michele Mascella, di Anpi.

«Eppure anche a noi, qui a Gallarate, si vedeva chiaramente il progressivo deteriorarsi di un sentimento di umana solidarietà, se non di fratellanza. La schedatura in municipio, la cancellazione dei diritti civili, la maestra che da un giorno all’altro spariva e non poteva più insegnare, i bambini che non potevano più frequentare la scuola, sequestrati ai cittadini ebrei. Tutto questo era frutto di un sentimento che era stato alimentato nel tempo e per molti anni. Era il frutto di una spregiudicata gestione dell’informazione, di una diffusione subdola di teorie razziali antiscientifiche, di una ricerca di un capro espiatorio che portava infine a indicare un colpevole, un nemico, una causa per i nostri mali».

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La pietra a Lotte Froëhlich Mazzucchelli 

Lotte Froëhlich, vittima della strage dell’Hotel Meina

Nata nel 1904 a Oppeln, città della Slesia allora tedesca, Lotte Froëhlich era figlia di Max Froëhlich e Jeanne Wertheimer. 
Sposatasi con l’avvocato, scrittore e storico Mario Mazzucchelli, si trasferì a Gallarate nella Casa di famiglia, in piazza Garibaldi. 
Il 13 settembre si recò insieme al marito dall’amico Alberto Behar, cittadino turco proprietario dell’Hotel Meina, sul Lago Maggiore, forse per preparare una fuga nella Svizzera neutrale.

Il 15 irruppero nell’albergo le SS del Primo Battaglione SS del secondo Reggimento della Divisione Corazzata Leinbstandarte Adolf Hitler, proveniente da Verona, incaricate di occupare la zona che conduceva al confine svizzero e forse anche di intercettare gli ebrei allontanatisi da Milano. Riconosciuta come ebrea dal cognome della madre, dopo una settimana di prigionia, nella notte del 22 settembre fu assassinata tra Meina e Arona: fu la prima ad essere selezionata nel primo gruppo di quattro persone che fu portato via dall’hotel e che venne eliminato a colpi di pistola.

Come per altre quindici persone, il suo corpo venne gettato nel lago.
 Nei due giorni precedenti il marito cercò invano di salvarla, rivolgendosi anche ai vescovi di Milano e di Torino.

Mazzucchelli testimoniò poi nel processo del 1968 contro gli esecutori delle “stragi del Lago Maggiore”, che portò a tre ergastoli (poi annullati per prescrizione).
 Al cimitero di Gallarate una lapide riporta la dedicazione “alla dolce e soave memoria di Lotte Mazzucchelli Froëhlich, atrocemente sacrificata a un mito nefando”.

Un monito per la memoria

Presenti alla celebrazione anche alcuni parenti di Lotte Froëhlich e Mario Mazzucchelli, tra cui il nipote Gian Andrea Mazzucchelli e la moglie Nella: Gianandrea è il figlio del fratello di Mario, Gian Piero. «Non sono stato un testimone diretto, ero troppo piccolo», ha raccontato, «in età adulta ne ho parlato spesso con lo zio Mario, che ricordando quei tragici giorni era sempre in uno stato di dolore e angoscia impressionanti. Della vicenda mi ha colpito la reazione che ha avuto quando, al processo a cui seguì la prescrizione, si trovò davanti agli occhi gli ufficiali della SS che avevano garantito che a Lotte non sarebbe successo nulla. Per lui fu come rivivere lo stesso dolore. Lo zio mi ha insegnato i valori della democrazia ed è ricordandoli è importantissimo che le pietre vengano messe per ricordare un periodo terribile legato alle stragi del nazifascismo».

Questa posa ha il sapore della rivincita oppure non è possibile? «Spero che ci sia la possibilità della rivincita ma ho i miei dubbi. Un po’ di antisemitismo lo sento ancora e queste celebrazioni servono a tenere l’argomento in primo piano».

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Gian Andrea Mazzucchelli

«Con la posa di questa terza pietra d’inciampo a Gallarate, concludiamo oggi un primo cammino della Memoria che affidiamo ai nostri concittadini più giovani. Sono decine i militari e civili gallaratesi, prigionieri politici e per motivi razziali, deportati e internati nei campi di concentramento e di sterminio in Germania. Troviamo i loro nomi negli elenchi dei lager di Bremen, Lipsia, Forbach, Mannheim, Oberhausen, Dobritz, Widmen an Sea, Augsburg, Auschwitz, Harthaim, Mauthausen, Dachau, Mine, Flossemburg», hanno continuato Mascella e Protasoni.

Le tre pietre d’inciampo a Gallarate

Le sezioni cittadine dell’Associazione Mazziniana Italiana e dell’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, hannolavorato insieme per tre anni per arrivare alla posa delle pietre in memoria di Vittorio Arconti, Clara Pirani Cardosi e Lotte Froëhlich. Tre persone legate a Gallarate, uccise per le loro idee o perché di origini ebraiche.

Anche Clara Pirani Cardosi era una insegnante, nonché moglie del preside del liceo: abitavano in via del Popolo, dove c’è il teatro. Fu denunciata da un vicino di casa, funzionario della Questura e morì ad Auschwitz nel 1944. La pietra che ricorda la sua terribile storia di ottusa, fredda burocrazia, quella dei funzionari dello Stato fascista e poi – dal 1943 – della (illegittima) Repubblica Sociale Italiana è stata posata a maggio proprio nelle vicinanze del Teatro del Popolo. 

Un po’ diversa la storia di Vittorio Arconti, deportato e assassinato per le sue idee politiche contrarie al regime: ad aprile la pietra con inciso il suo nome è stata posata in via Mameli, vicino alla ferrovia, dove abitavano i fratelli Arconti. Vittorio fu deportato per aver organizzato uno sciopero come resistenza al fascismo e per chiedere la fine della guerra.

Nicole Erbetti
nicole.erbetti@gmail.com

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Pubblicato il 01 Ottobre 2022
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