Liquirizia
Racconto di Gian Paolo Zoni
Seduto nella Fiat Uno rubata la mattina al parcheggio del Liceo scientifico di via Leonardi, Ciro si passa la manica della felpa sulla fronte. Suda, nonostante la temperatura sia poco superiore allo zero, sono passate troppe ore dall’ultimo buco. Gli occhi fissi al chiosco del benzinaio. È già stato lì il mese scorso, alla cassa c’era una vecchietta con occhiali bifocali e braccia esili. Per intimorirla sarebbe bastato puntarle contro la scacciacani. Gli avrebbe dato i soldi senza fare storie. Ciro pensa di racimolare almeno trecentomila lire con quel colpo. Abbastanza da comprare eroina sufficiente per farsi nei successivi cinque giorni. Enormi scarponi da lavoro con le punte rinforzate, è tutto ciò che ricorda di suo padre, d’altro canto sparì veloce dalla sua vita. Nei due anni successivi visse con sua madre Nora, fu il periodo più felice. Guardavano la televisione tutti i sabati pomeriggio mangiando rotelle di liquirizia e sorridendosi a vicenda in un tripudio giocoso di denti marci. Quando Nora perse il posto di commessa alla Standa e l’amor proprio, si consolò con la bottiglia. Voleva gettare nell’oblio un’esistenza ormai vuota e inutile, a parer suo. Colse nel segno una sera, dopo un’abbondante dose di bicchieri di Vodka. Dimenticò ogni cosa, anche il fornello acceso e il figlio addormentato nella stanza accanto. Il fuoco incenerì il modesto appartamento e quello che c’era dentro. Solo Ciro si salvò e passò diverse settimane in ospedale con ustioni su buona parte del corpo. Quando i medici lo dimisero e gli si aprì la strada verso l’orfanotrofio, aveva cinque anni. E da quelle stanze indifferenti e i nudi corridoi i ricordi emersero brutali. Sempre grandi scarpe, questa volta lucide, e pantaloni arrotolati sopra. Scende dall’auto, si lascia sferzare dall’aria fredda, un calcio alle ombre del passato, e si incammina rapido verso la piccola costruzione di lamiera e cemento. Entra e vede un marcantonio seduto alla cassa che gira la manopola della radio posata sul bancone. Si blocca per un attimo, non è una buona cosa. Potrebbe rimandare, ma all’interno il suo corpo brucia. Chiari segni, come sputi sull’asfalto, del poco tempo rimasto prima di avere un’altra crisi. Estrae la pistola e intima al gigante di consegnare l’incasso della giornata. Il tizio lo guarda con occhi sbarrati e si affretta ad aprire il cassetto della cassa. Ma Ciro si distrae, imbambolato contempla una confezione di vetro colma di rotelle di liquirizia. Allunga la mano per aprire il contenitore ma il braccio non si solleva. Il marcantonio è in piedi davanti a lui, imbraccia un fucile, la canna fumante. Di nuovo cerca di afferrare il barattolo. Solo un po’ di vita, ti prego Dio! Per provare ancora quel sapore in bocca, il gusto unico dell’innocenza.
Racconto di Gian Paolo Zoni (www.ilcavedio.org)
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