I finanziamenti garantiti dallo Stato hanno drogato il mercato. Per finanziare un’impresa meglio un minibond
Il caso della Cdv Stampi di Brebbia dimostra che le pmi si avvicinano sempre di più a strumenti di finanziamento alternativi alla banca. Massimiliano Brion di Italfinance, advisor dell'operazione, spiega il cambiamento in atto
Nel 2015 Anna Gervasoni, docente di finanza d’impresa all’università Liuc di Castellanza e direttore di Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt), pubblicò un libro dal titolo “Come finanziare l’impresa“ (Guerini Next) in cui si coglieva e analizzava un punto debole delle imprese italiane che nella ricerca di finanziamenti erano tradizionalmente e ostinatamente legate al sistema bancario, nonostante non mancassero altre forme di finanziamento praticabili e complementari alla banca: dal private equity al venture capital, dal crowdfunding all’emissione di minibond, fino alla quotazione in borsa. (nella foto Massimiliano Brion responsabile della divisione di finanza straordinaria e strutturata di Italfinance)
In questi ultimi otto anni, lo scenario italiano in tema di finanziamenti alle imprese ha intrapreso la via del cambiamento in modo deciso. Sono aumentate le quotazioni in borsa, il venture capital e i business angel hanno oggi un ruolo non più residuale nel finanziamento delle startup, le operazioni di private equity dal 2012 al 2021 sono triplicate, così come sono aumentate anche le emissioni di minibond (obbligazioni) soprattutto tra le piccole imprese. In provincia di Varese la Cdv Stampi di Brebbia, azienda di stampi per la plastica che lavora nel settore dell’automotive, ha appena portato a termine l’emissione di un minibond di 1,5 milioni di euro per finanziare la crescita con investimenti nei sistemi di automazione e in nuova occupazione. Secondo Massimiliano Brion, responsabile della divisione di finanza straordinaria e strutturata di Italfinance, l’advisor dell’operazione, è il segnale di «una evoluzione».
Brion, perché parla di “evoluzione” del sistema di finanziamento alle imprese? Che cosa è cambiato?
«Si spinge molto sull’emissione di minibond per due motivi. Il mercato dei finanziamenti a medio-lungo termine ha vissuto negli ultimi due anni continue erogazioni dalle banche con le garanzie di Stato, prima per il Covid-19 e poi per la crisi energetica, finanziando anche aziende che non erano particolarmente meritevoli. Ora le banche stanno frenando e tendono a dare finanziamenti a breve termine perché probabilmente avranno sofferenze da gestire. Questo sistema ha drogato il mercato del credito perché le banche anche ora, in assenza di motivazioni ben precise, continuano a dare credito solo se esistono di nuovo quel tipo di garanzie. Adesso si sta aspettando il rinnovo della garanzia Sace per il 2023 e se questo non avverrà nessuna banca darà nuovi finanziamenti. In questo contesto, il mercato delle obbligazioni, che non utilizza quel tipo di garanzie statali e fa operazioni senza garanzie o utilizzandone di specifiche come, per esempio, quella del Fondo europeo per gli investimenti, può andare avanti. Le aziende ricorrono a questo tipo di prodotto perché non si ferma. Attualmente i minibond per le imprese, come i finanziamenti a medio lungo termine, si sono assestati a 5-6 anni».
Il secondo motivo?
«Fino a qualche anno fa per le obbligazioni venivano chiesti redimenti molto elevati, quindi in momenti dove i finanziamenti bancari avevano tassi molto bassi e le obbligazioni arrivavano a tassi intorno al 5-6%, quattro cinque volte più cari, nessuno le voleva fare. Adesso invece i sottoscrittori, soprattutto quelli bancari e con loro i vari fondi di debito che sottoscrivevano, hanno visto una discesa degli spread al 3 % – 3,5%, con un avvicinamento se non addirittura un pareggio rispetto ai tassi chiesti dalle banche sui finanziamenti a medio termine, perché nel frattempo il costo del denaro è aumentato. Di fronte a tassi molto simili l’imprenditore si domanda giustamente perché non sperimentare questo strumento».
Quali sono i vantaggi nell’emissione di un minibond?
«È uno strumento che non finisce nella centrale rischi e quindi si può continuare a ricevere credito dalle banche, dà molta visibilità perché dimostra che la società è meritevole di capitali da parte degli investitori, le stesse banche e fornitori di fronte a un’emissione di obbligazioni ne riconoscono la validità e sono più propensi a lavorare insieme e poi c’è una discreta pubblicità sui giornali che aumenta la visibilità».
E gli svantaggi?
«Non si tratta di svantaggi ma di diversa organizzazione perché il bond impone una rendicontazione, pertanto le piccole aziende, soprattutto quelle familiari, che hanno dei deficit organizzativi, devono integrare figure manageriali adeguate, cfo e quant’altro. Non dimentichiamo che il bond in alcuni casi è l’anticamera della quotazione»
Che cosa è cambiato nell’identikit delle imprese che emettono minibond per finanziarsi?
«Oggi si avvicinano a questo strumento anche le piccole imprese, che hanno una decina di milioni di euro di fatturato, mentre prima era difficile ipotizzare un’emissione per aziende al di sotto di 50 milioni di euro di fatturato. Un tempo si facevano emissioni obbligazionarie di 100 milioni, cioè solo per le grandissime aziende. In questi anni la soglia di emissioni di bond è scesa fino a un milione e mezzo per arrivare a quella limite di 500 mila euro».
Che cosa manca al sistema italiano di finanziamento alle imprese per allinearsi a quello anglosassone e più in generale a quello europeo?
«Nel mercato europeo e anglosassone i tre quarti dei finanziamenti avvengono attraverso l’equity, con l’emissione di obbligazioni o con le quotazioni in borsa. È un problema culturale ma il sistema italiano sta cambiando molto rispetto al passato. Se prendiamo come esempio il mondo del venture capital, negli ultimi due anni ha avuto una crescita esponenziale, con la presenza di gruppi di business angel che hanno investito a titolo privato. Io stesso faccio parte del “Club degli investitori” che nel 2022 ha investito sette milioni di euro con 250 persone, quello precedente ne aveva investiti due e quest’anno ne investirà quindici. Quindi ha raddoppiato e poi triplicato gli investimenti. Vedo tanti indicatori che vanno sempre di più verso l’equity e i capitali di terzi. Insomma, non manca molto».
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