Giovanni Impastato sulla cattura di Messina Denaro: “Non è il momento di festeggiare”
Il fratello di Peppino Impastato ha incontrato gli studenti di Cassano Magnago parlando di mafia, della testimonianza del fratello e di come portare avanti questa lotta.
«La cattura di un potentissimo criminale assicurato alla giustizia è un segnale di fiducia e speranza che ci fa crescere tantissimo. Ma questo non è il momento di festeggiare, sono cose che facevamo i mafiosi quando sono stati uccisi Falcone e Borsellino. Noi dobbiamo riflettere, studiare e portare avanti il nostro impegno quotidiano di contrasto alla criminalità organizzata».
Giovanni Impastato, all’incontro con le scuole Dante Alighieri di Cassano Magnago (questa mattina, mercoledì 18 gennaio) al teatro auditorio è diretto e senza fronzoli nel parlare dell’arresto del boss Matteo Messina Denaro avvenuto a inizio settimana.
Da giorni Impastato, fratello di Peppino Impastato assassinato da Cosa Nostra nel 1978 per il suo costante lavoro di lotta alla mafia, si trova a Cassano in occasione dell’incontro con gli studenti di 5 elementare, 2 e 3 media dell’istituto Dante. Dopo l’introduzione musicale da parte degli studenti della sezione musicale, Impastato ha dialogato insieme alla dirigente Raffaella Ferrari e la docente referente della legalità, Alessandra Catocci, con la platea.
Presenti anche l’ex sindaco Nicola Poliseno, l’assessore all’Istruzione Alessandro Passuello e l’assessora alle Politiche sociali, Anna Lodrini.
Impastato con la dirigente Ferrari e la professoressa Alessandra Catocci
“La mafia è un problema culturale”
«Dopo l’arresto di Messina Denaro le cose possono cambiare?», gli ha domandato un ragazzo. «Penso di sì ma dipende da quello che fa la società civile. La mafia è forte; l’arresto è stato un momento positivo, ma il problema della mafia non si è risolto, perché riuscirà ad organizzarsi e verrà un altro capo tra non molto».
E ha poi sottolineato il clima di omertà che ha permesso a Messina Denaro di rimanere latitante per anni: «Sappiamo che è stato protetto in quel territorio e questo è inquietante. Molti tra Mazara e Campobello sapevano di Messina Denaro e lo hanno aiutato: l’omertà ancora regna non solo in quel contesto, ma in tutto il territorio nazionale. Anche in queste parti, che fino a poco tempo fa sembravano immuni dalla mafia. Dobbiamo cercare di rompere e sconfiggere quella mafia che abbiamo dentro. Quando io stesso io rotto contro la mafia mi è sembrato di lottare contro me stesso: né voi né io siamo persone mafiose, siamo persone perbene; ma la mafia è ben radicata nella società. È un problema culturale».
Il teatro Auditorio di Cassano pieno di studenti
Il ricordo del fratello Peppino
Nel raccontare del fratello ha ammonito i giovani ascoltatori: «Non dobbiamo mitizzare la mafia, perché noi la possiamo battere ma questo dipende da noi: la mafia non è soltanto una organizzazione criminale, un problema di ordine pubblico. Ma soprattutto è un problema di ordine sociale: è importante oggi parlare non solo di Peppino, ma di mafia non rimanendo sull’onda dell’emergenza». Invece – secondo lui – l’antidoto è parlare di mafia non in termini di emergenza, ma in maniera preventiva.
Aveva paura di combattere contro la mafia? «Io avevo paura di combattere la mafia, lui no. Quando è stato ucciso nostro padre ho detto a mio fratello che dovevamo stare attenti, perché era morta la persona che ci proteggeva. Non avrebbero mai ucciso Peppino con mio padre vivo. Quando i mafiosi hanno capito che Peppino lo avrebbe sconfitto con l’ironia, la parola, la disubbidienza civile, l’ambientalismo, lo hanno ucciso».
L’esempio della madre Felicia
In una situazione disgregativa a livello morale come quella di oggi, però, secondo Impastato non bisogna impugnare «l’odio, il rancore e la vendetta: non ci fanno ragionare e non ci portano da nessuna parte». E ha ricordato la dignità della madre, Felicia Bartolotta, al momento della sua testimonianza al processo di Gaetano Badalamenti (condannato successivamente all’ergastolo come il mandante dell’assassinio di Peppino): «Appena concluso il giuramento, ha puntato il dito al monitor, sull’immagine di Badalamenti (processato in videoconferenza dagli USA) e ha pronunciato una frase: “Sei stato tu a uccidere mio figlio”».
Impastato e gli altri sono rimasti piacevolmente colpiti e allo stesso tempo sconvolti dal suo atteggiamento: «Dalle sue parole non c’erano rancore, vendetta, ma serenità e tranquillità con sé stessa. Le sue parole hanno colpito lo stesso criminale, che forse si aspettava una madre isterica». «Mia madre – ha continuato – quando è stata costretta a fare una scelta non ha scelto il marito e la mafia, bensì la legalità. Lei ci ha spinto ad andare avanti, ma con molta cautela e razionalità. Quando Peppino è stato ucciso lei ha detto di non voler vendetta, ma giustizia».
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