Grandi laghi lombardi già allo stremo, Legambiente: “Senza precipitazioni la crisi idrica nel 2023 sarà durissima”
Nei bacini idroelettrici alpini manca oltre il 25% dell'acqua normalmente presente in questa stagione. Anche la neve scarseggia, secondo i modelli di Arpa, in montagna manca oltre il 40% della neve che si dovrebbe trovare sulle Alpi in questa stagione
Se la siccità in Europa dell’estate 2022 è stata definita come la peggiore degli ultimi 500 anni, il 2023 ha tutti i presupposti per battere questo spaventoso record (in copertina, una foto del lago maggiore del 2022). Il nuovo anno sembra infatti non iniziare con le premesse migliori: i grandi laghi prealpini sono tutti semivuoti, non una delle premesse migliori per gli utilizzatori della risorsa idrica lombarda, a partire dagli agricoltori.
I laghi Maggiore, di Como, d’Idro, d’Iseo e di Garda sono i cinque grandi laghi presenti nell’area prealpina lombarda: sono un immenso serbatoio idrico utilizzato prevalentemente per l’irrigazione, grazie alle grandi opere di sbarramento degli emissari che ne regolano i deflussi. Il problema è però che l’acqua scarseggia negli immissari e, per quanto gli enti regolatori si stiano già sforzando di limitare i deflussi, gli invasi sono vuoti per tre quarti: secondo i dati pubblicati dal servizio idrologico di ARPA Lombardia, il volume di acqua invasata, e quindi effettivamente utilizzabile per far fronte ai fabbisogni, è pari a circa 350 milioni di metri cubi, quando un anno fa, dopo un inizio inverno anche allora avaro di precipitazioni, c’erano comunque circa 200 milioni di mc di acqua in più nei grandi laghi.
Almeno per il momento le prospettive appaiono pessime: non solo il meteo non offre previsioni di precipitazioni importanti, ma anche i serbatoi che sovrastano i grandi laghi sono in pessima salute.
In rapporto alle medie degli ultimi 15 anni, nei bacini idroelettrici alpini manca oltre il 25% dell’acqua normalmente presente in questa stagione, e anche la neve scarseggia: secondo i modelli di ARPA, in montagna manca l’equivalente sotto forma di neve di 700 milioni di mc di acqua, ovvero oltre il 40% della neve che si dovrebbe trovare sulle Alpi in questa stagione.
Quest’anno ad essere in sofferenza è anche il Garda, che nella siccità dell’anno scorso poté intervenire a soccorso delle portate del Po per impedire che andasse completamente in asciutta, mentre gli altri affluenti venivano letteralmente ‘tirati a secco’ per alimentare le reti irrigue. La provvista idrica del Garda nel 2023 non sarà disponibile, e quindi in caso di siccità si potrà prelevare molta meno acqua dagli altri fiumi, Ticino, Adda e Oglio in particolare, a meno di scegliere di desertificare il Polesine.
“Diciamo subito che non vogliamo guerre dell’acqua a spese dei fiumi. E questo non soltanto per difendere la biodiversità acquatica, ma anche perché eccessivi prelievi idrici da monte comporterebbero un danno gravissimo per gli utilizzatori di valle, e una espansione smisurata del cuneo salino che comprometterebbe la fertilità di centinaia di migliaia di ettari coltivati lungo il tratto terminale del corso del Po – dichiara Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia – L’agricoltura lombarda deve fare affidamento su risorse idriche sempre più limitate e incerte, perché ormai il cambiamento climatico è tra noi, e non ci abbandonerà per qualche secolo”.
Legambiente è anche molto perplessa sulle soluzioni ingegneristiche che si prospettano e che dovrebbero attingere dalle risorse economiche del PNRR. Si tratterebbe di realizzare una miriade di laghetti per trattenere acque piovane da redistribuire nel momento del bisogno. “Per quanti laghetti si possano fare in Lombardia, si tratterebbe di volumi irrisori in rapporto ai miliardi di mc degli invasi già presenti. In Lombardia non mancano i volumi di invaso, ma l’acqua con cui riempirli! Occorre avere il coraggio di affrontare un cambiamento profondo dell’agricoltura, non solo modificando le tecniche irrigue, ma soprattutto gli ordinamenti colturali. Non si può pensare di affrontare il cambiamento climatico senza cambiare le colture, anche se ciò significherà ridimensionare le produzioni che afferiscono alla filiera zootecnica” conclude Di Simine.
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