All’ora di chiusura arriva Tom Waits
In quei tempi suonava nei club di Los Angeles
Tom Waits era un pianista poco più che ventenne che suonava nei club di Los Angeles pezzi suoi e cover di Dylan, quando una sera al Troubadour fu notato dal potente David Geffen che rimase estasiato dalla sua Grapefruit Moon e lo mise sotto contratto per la sua Asylum. Come primo disco Tom voleva proprio fare un disco di jazz, ma il momento era quello dei cantautori orientati al country e al folk, tanto che lui era capitato nell’etichetta di Joni Mitchell, di Linda Ronstadt e degli Eagles. Quindi quello che ne uscì fu un disco bilanciato fra le due influenze: più country in pezzi come Ol’55 e Old Shoes, più jazz in Grapefruit Moon o Virginia Avenue. Ma il disco non ne soffre ed è già bellissimo: nei decenni seguenti Waits farà molte cose che faranno impazzire i critici (e storcere il naso a qualche ascoltatore) fino a diventare un vero e proprio simbolo della canzone d’autore. Se però dovessi scegliere un solo suo disco da portare sulla classica isola deserta – ovviamente si parla di gusti personali – prenderei questo o il secondo.
Curiosità: sebbene la loro cover di Ol’ 55 gli avrebbe portato molti più soldi dell’originale, Waits non fu mai molto carino con gli Eagles, che peraltro incidevano per la sua stessa casa discografica. In un’intervista al NME disse che li trovava “eccitanti come guardare asciugare la vernice sul muro”.
La rubrica 50 anni fa la musica
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