La lunga marcia di Yao, dal Togo a Busto Arsizio: “Scappo dalla morte. Ora non devo più nascondermi”
Sfuggito al woodoo, prima, e all'inferno libico, poi, è arrivato a Busto Arsizio dove voleva uscire dall'invisibilità. Grazie a Casaringhio ha ottenuto la protezione internazionale e ora può essere assunto dal suo datore di lavoro
Yao è scappato dal suo villaggio in Togo nel 2016. Dopo la morte del nonno, capo woodoo della comunità, era stato designato come suo successore ma per se stesso aveva scelto una vita diversa e così è dovuto scappare per evitare di finire sacrificato a causa del suo rifiuto. Venne imprigionato ma uno zio, mosso a compassione da quel ragazzo di soli 23 anni, lo liberó, gli diede dei soldi e gli disse di scappare. Oggi, dopo anni di tribolazioni, ha trovato un po’ di pace a Busto Arsizio dove vive in un monolocale e lavora come lavapiatti in una nota catena di ristoranti.
Grazie all’impegno di Casaringhio aps, l’associazione che dall’anno scorso ha preso sempre più piede nella zona di Busto Arsizio, a sostegno di tutti gli esseri viventi (siano animali o esseri umani in difficoltà): «Non finirò mai di ringraziarli perché sono riusciti, insieme all’avvocato Milena Ruffini, a farmi avere la protezione internazionale». Grazie a loro ora ha un permesso di soggiorno per due anni che gli garantisce la serenità necessaria: «Non devo più nascondermi, posso vivere una vita normale. Avere i documenti in regola era il mio più grande problema».
Prima di arrivare a Busto la strada percorsa da Yao è stata un lunghissimo calvario fatto di violenze e soprusi: «Dal Togo è passato al Burkina Faso, poi in Nigeria e su fino ad Agadez. Lì mi è stata offerta la possibilità di andare in Libia dove volevo trovare un lavoro ma la situazione lì è spaventosa. Sono passato dalle carceri libiche dove mi hanno rubato tutti i soldi che avevo, poi un ricco libico mi prese nella sua casa come servo per alcuni mesi. Ad un certo punto mi chiese cosa poteva fare per me e io chiesi di poter andare in Europa perché avevo paura di finire di nuovo nelle mani di aguzzìni senza scrupoli. Mi pago il viaggio e mi portò in riva al mare dove fui caricato su un gommone mandato alla deriva».
Yao non parla facilmente di quel viaggio. Insieme al suo gommone ce n’erano altri che ha visto affondare col loro carico di persone «c’erano anche donne incinta e bambini. Uno strazio. Noi venimmo recuperati dopo 3 giorni di navigazione e ringrazio Dio se sono qui». E aggiunge: «Non consiglierei a nessuno di arrivare in Italia come ho fatto io. È davvero molto pericoloso».
In Italia è passato da un centro per migranti all’altro, risalendo la penisola dalla Sicilia fino a Piacenza «dove ci ho rimesso un dito durante una lite con un compagno di camera». A Busto ci è arrivato tramite un amico, aveva i documenti in regola ma poi sono scaduti e non è riuscito a trovare nessuno che potesse aiutarlo a tornare nella legalità. Fino a quando non ha incontrato Sara Vega e Federico Riva, dell’associazione Casaringhio: «Lo abbiamo aiutato ad ottenere ciò che era suo diritto. Lui ha sempre ricambiato partecipando come volontario alle attività dell’associazione. Ora che ha i documenti in regola può essere assunto regolarmente dal ristorante».
Yao si è integrato anche nel condominio dove vive: «All’inizio non ero ben visto dai vicini ma col passare dei mesi hanno capito che non sono qui per fare del male ma solo per lavorare e costruirmi un futuro che nel mio Paese non avrei mai potuto avere. Mi manca il Togo ma sto molto bene qui».
Dopo quella di Max, uscito dal carcere e reintegrato grazie ad un lavoro, questa è la seconda storia di successo per Casaringhio (che si sta occupando anche della famiglia che viveva in auto, nei parcheggi del Tigros) che ora chiede aiuto: «Abbiamo bisogno di volontari, persone animate dalla volontà di aiutare il prossimo senza guardare di che colore è la sua pelle» – conclude Sara Vega. Per informazioni basta andare sul sito dell’associazione www.casaringhio.it.
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