Compie 1.301 anni la pergamena più antica d’Italia, è un documento del diritto longobardo
Conservato all'Archivio di Stato di Milano il documento è “La Cartula de accepto mundio” e testimonia la condizione della donna in quell'epoca
È conservato all’Archivio di Stato di Milano il documento su pergamena più antico d’Italia, che oggi compie 1.301 anni: “La Cartula de accepto mundio”. Il Ministero della Cultura, guidato da Dario Franceschini, racconta la protagonista che anima le pagine del documento attraverso le parole del Direttore dell’Archivio, Benedetto Luigi Compagnoni, in un video online sul canale YouTube Ministero della Cultura.
Un documento importante anche per la riflessione sulla condizione sociale delle donne nella storia e sulla lotta per l’emancipazione. Anstruda è una giovane donna analfabeta, che il 12 maggio 721 a.C. si reca dal notaio per firmare, con una X, “La Cartula de accepto mundio”.
Nel diritto longobardo la donna ha capacità giuridica, può quindi avere delle proprietà, ma non ha capacità di agire, per questo motivo viene introdotto il mundio: un istituto del diritto longobardo secondo il quale un uomo aveva il potere di amministrare i beni della donna e di assisterla nel compiere atti giuridici, anche nel caso di beni di proprietà della donna stessa.
Il mundio era esercitato dal mundoaldo, in genere un parente maschio della donna (marito, fratello, anche un figlio minorenne nel caso di una vedova); senza l’approvazione del mundoaldo, gli atti giuridici della donna non erano validi. L’istituto del mundio proviene dal diritto germanico che poneva la donna in condizione fortemente subalterna all’uomo; nell’editto di Rotari, col quale questo re mise sulla carta i principi del diritto longobardo, è ribadita l’impossibilità giuridica della donna di liberarsi dal mundio. Anstruda però, donna povera ma libera, sposa un servo, un uomo di estrazione sociale più bassa che non può esercitare questo diritto.
Firmando il documento, Anstruda si impegna a essere sottoposta ai padroni del futuro marito per il resto della vita e, così facendo, si priva della propria libertà, riuscendo così ad assicurarsi una protezione.
Un operaio scatta la foto a Manigunda, il fantasma del Monastero
Diversa è la condizione di Bianca Maria Visconti, duchessa di Milano, moglie di Francesco primo Sforza, altra donna protagonista del documentario MiC. Nel “Codicetto di Lodi”, un codice membranaceo miniato che riporta atti che vanno dal 1462 fino al febbraio 1508, vengono riportate alcune esenzioni e privilegi per l’ospedale di Lodi. Il documento reca immagini che raffigurano Bianca Maria Visconti insieme al consorte inginocchiati in preghiera di fronte San Girolamo, Santo protettore dell’Ospedale.
Un codice estremamente prezioso, ornato di oro e lapislazzuli, che dimostra la ricchezza e l’autorità esercitata da questa donna; una donna che non accetta la posizione di sudditanza che la società del tempo le imponeva, ma che si fa ritrarre insieme al marito, sottolineando la condivisione e la partecipazione al potere con il suo consorte.
«In tutti gli archivi del Mondo occidentale è possibile accedere alla documentazione, proprio perché gli archivi sono un sinonimo di libertà, di accesso del cittadino nelle stanze del potere», spiega il Direttore. Il video, ideato e realizzato dall’Ufficio Stampa e Comunicazione del Ministero della Cultura, ricorda solo due delle tante storie custodite nei 14 secoli di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Milano. Due storie diverse, che si intrecciano solo tra gli scaffali, ma che affondano le radici nel terreno comune della condizione subalterna della donna, della sua lotta per l’emancipazione e per l’affermazione della propria dignità quale persona.
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