Per un attimo soltanto
Un ricordo di Marco Pantani a sei anni dalla morte del grande campione. Di Paolo Franchini
Il 14 febbraio del 2004 moriva, in un residence di Rimini, il grande Marco Pantani. Ne affidiamo il ricordo a questo brano dello scrittore varesino Paolo Franchini (www.paolofranchini.tk).
Un brivido. Per un attimo pensò che l’avessero ripreso. Ricominciò a pedalare furiosamente incassando di nuovo la testa fra le spalle, contento di essersi sbagliato, felice di avere un cuore che batteva con ancora più forza nel petto, nelle tempie, violento e cattivo nelle orecchie e in gola. Si guardò indietro e sorrise, che stupido era stato. Quel giorno andava come il vento, più del vento. La discesa era ripida come non mai, ma lui continuava lo stesso a pedalare. E a sorridere. Non l’avrebbero ripreso e non sarebbe nemmeno caduto.
Cadere. Tante, troppe volte gli era capitato di ritrovarsi lungo e tirato sull’asfalto. Prima la botta, secca e violenta da tagliare subito il respiro ma che avrebbe fatto veramente male solo il giorno dopo, e poi l’immediato sentirsi consumare dalla strada grigia. Il mento, le ginocchia, i gomiti, i fianchi. Prima la divisa sgargiante e poi la pelle e la carne. E ogni tanto anche le ossa. E l’anima.
Sorrise un’altra volta. Pochi come lui conoscevano il sapore metallico del sangue e quello salato delle lacrime, sapori disgustosi ma sempre preferibili all’amaro del dolore e della rabbia. E della vergogna.
Sputò la saliva e la fatica che aveva in bocca e si voltò un’altra volta. Sì, oramai poteva stare tranquillo, non l’avrebbero più raggiunto. Quel giorno nessuno l’avrebbe più ripreso, neppure la sua ombra. Era riuscito a staccare pure lei. Incredibile. Mille volte era caduto e mille volte si era rialzato ed era rimontato in sella e aveva ricominciato a pedalare. Socchiuse gli occhi. Sentì il sudore inzuppargli la bandana gialla, colargli dalla fronte, entrargli negli occhi. Bruciava. Cacciò fuori la punta della lingua e assaggiò quel sudore. Era amaro, non acido. Sapeva di dolore e di rabbia. E di vergogna. Un altro brivido.
Sputò la saliva e la fatica che aveva in bocca e si voltò un’altra volta. Sì, oramai poteva stare tranquillo, non l’avrebbero più raggiunto. Quel giorno nessuno l’avrebbe più ripreso, neppure la sua ombra. Era riuscito a staccare pure lei. Incredibile. Mille volte era caduto e mille volte si era rialzato ed era rimontato in sella e aveva ricominciato a pedalare. Socchiuse gli occhi. Sentì il sudore inzuppargli la bandana gialla, colargli dalla fronte, entrargli negli occhi. Bruciava. Cacciò fuori la punta della lingua e assaggiò quel sudore. Era amaro, non acido. Sapeva di dolore e di rabbia. E di vergogna. Un altro brivido.
Per un attimo, per un attimo soltanto, di nuovo la paura di essersi fatto raggiungere. Per un attimo, per un attimo soltanto, di nuovo la paura di essere ancora vivo.
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