Sinistra “radicale” alla prova della “traversata nel deserto”
I temi dell'economia e della politica visti dal PdCI
A parlare di lavoro lunedì sera a Villa Tovaglieri a Busto Arsizio erano dei comunisti. Impenitenti e dichiarati, come Cosimo Cerardi, segretario bustese del PdCi, che nel "cappello" introduttivo alla serata denunciava di essere «stanco di sentirmi offeso da chi quando parla dei comunisti mi fa passare come il Male del mondo. Noi comunisti abbiamo costruito la storia di questo Paese nei decenni, con sacrifici inenarrabili: la Costituzione è scritta con il nostro sangue. Siamo comunisti: siamo per le democrazia, per i diritti dei lavoratori, per la difesa ad oltranza della Costituzione». E contro la realizzazione di quel "piano di rinascita democratica" della P2, ricordata da Gianmarco Martignoni (Cgil), che sembra l’unica vera "costituzione" rispettata negli ultimi trent’anni di vita del Paese.
Nel momento grave per il lavoro, serve unità d’intenti, riprendere il lavoro sindacale, «servirebbero interlocutori politici all’altezza» ma da un lato la sinistra cosiddetta radicale in Parlamento non c’è proprio, dall’altro, come dirà Martignoni, «l’incapacità della destra di gestire la situazione è manifesta». Che saremmo messi meglio di altri Paesi, ricorda, che il peggio è alle spalle e che la crisi presto finirà lo si sente ripetere da almeno un anno. Intanto la mancanza di programmazione economia, l’ideologia al potere, gli slogan lasciano il passo alla dura realtà. Dal "piccolo è bello" al disastro incombente. E qui spunta la nostalgia non solo comunista per la grande azienda, dove il sindacato era una forza reale e potente, non solo "il notaio della disoccupazione".
Intanto, come elencava Cerardi, si scatena ad arte la guerra fra i poveri, torna il caporalato (è stato citato il caso clamoroso dei cinesi sfruttati a Casorate Sempione), la politica regionale favorisce le speculazioni fondiarie e la privatizzazione strisciante di scuola e sanità, il territorio e lo scenario politico sono devastati, economicamente dalla deindustrializzazione partita negli anni Ottanta, moralmente dal trionfo di destre tutt’altro che "moderate", materialmente da un modello di sviluppo di cui la crisi ha denunciato gli eccessi. In tutto questo «a sinistra siamo pochi e deboli, la crisi non ci aiuta, il nostro compito è mostrare che un’altra strada è possibile». E unirsi, al di là di ogni frazionismo. Chiude la diagnosi di Gino Fischietti, responsabile lavoro del PdCI: «Il sindacato deve ritrovare una sponda politica». Facile a dirsi, difficile a farsi.
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