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Quando il ciclismo era eroico (e le maglie dei corridori erano di lana)
La mostra a Palazzo Borghi racconta la storia del ciclismo d'altri tempi. Che si intreccia con la Storia: come quella volta che Bartali...
Non le definiresti davvero gioielli, a vederle così, con la vernice opaca, i graffi rimediati nel tempo, le scritte multicolori rovinate dalle intemperie. Eppure, quella parola così abusata, “gioielli”, è davvero quella giusta per definire i cimeli in mostra a Palazzo Borghi: perché quei vecchi velocipedi rappresentano la storia del ciclismo eroico, un sussidiario illustrato (passateci il termine d’altri tempi) che racconta le imprese della coppia Coppi & Bartali, ma anche quelle del terribile Petit Breton e dei leggendari Bottecchia e Ganna. «Nell’anno dei Mondiali – spiega il sindaco Nicola Mucci – non potevamo che dedicare al ciclismo il Galà dello Sport». La mostra resterà aperta fino a domenica 7 dicembre, a Palazzo Borghi in via Verdi, nel quadro delle iniziative legate al Gran Galà dello Sport. Una quindicina di biciclette appartenenti tutte alla collezione di Luciano Berruti, geniale collezionista e “velocipedista” (dice proprio così il suo biglietto da visita…) di Savona. Luciano trent’anni fa è salito dalla Calabria, ha fatto
il muratore prima e poi – dopo anni di scuole serali – l’odontotecnico. Ma non ha mai dimenticato l’amore di gioventù, il ciclismo dei tempi eroici: quasi vent’anni fa si è messo a raccogliere cimeli e restaurare bici d’epoca con cura certosina e attenzione filologica portata all’estremo; ha creato una collezione senza pari e si è messo alla testa del movimento dei ciclisti d’epoca che ha nell’Eroica il suo punto di riferimento. «Ogni bici, ogni pezzo ha la sua storia. Una camera d’aria riparata dieci e più volte – ha raccontato il simpatico savonese – spiega meglio d’ogni altra cosa i tempi del ciclismo eroico». E la camera d’aria rattoppata è davvero lì, legata sotto la sella in cuoio. I pezzi forti della sua collezione sono le bici identiche a quelle dei due campionissimi: la Legnano con cui Ginettaccio Bartali dominò l’Izoard e vinse il Tour de France del 1938 e la Bianchi con cui Fausto Coppi s’impose nel 1952. Ogni bici, una storia: quella di Bottecchia ucciso (forse) dai fascisti per la sua opposizione al regime, quella con il nascondiglio per i chiodi da seminare per strada per ostacolare – diciamo così… – gli avversari. Accanto alle bici, le pesanti maglie di lana che si usavano allora, con i nomi di mitici costruttori come Bianchi e Legnano. C’è anche quella tricolore (allora si correva per squadre nazionali) del gallaratese Mario Ricci, incorniciata insieme alla pagina del giornale che lo vede terzo in classifica al Tour del 1949.
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Luciano Berruti – che accompagna i visitatori già dalla mattina, dalle prime visite dei bambini delle scuole elementari – ha mostrato i suoi gioielli anche al nuotatore Massimiliano Rosolino e alla ballerina Natalia Titova, intervenuti all’inaugurazione. Anche a loro ha mostrato il cannotto della sella della bicicletta di Bartali. Ginettaccio ci nascondeva i documenti falsi destinati agli ebrei in fuga: nel ’44-’45 sfruttando la sua popolarità si muoveva in lunghi viaggi in bici, portando i preziosi documenti dalle stamperie clandestine ai conventi e ai rifugi che accoglievano antifascisti ed ebrei braccati dalla polizia. Un cimelio che più di tutti descrive come la piccola storia dello sport si intrecci a volte con
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