“La Cultura non è un luogo immobile e chiuso in se stesso”
Elena Castiglioni, titolare di "Archeologistics, società che opera da un decennio nel campo della gestione museale”, condivide la scelta del Ministro a cui fa un solo appunto
Gentile direttore, rispondo volentieri alla tua richiesta di un commento alle recentissime nomine dei direttori dei 20 super-musei italiani.
E’ un momento di cambiamento nel istituzioni culturali pubbliche italiane, secondo quanto voluto dalla riforma Franceschini, e i risultati della selezione sono frutto di quella riforma. La riforma ha elementi Positivi ed alcuni più critici, ma non penso che tra i punti critici si possa annoverare l’età o la nazionalità di un direttore di museo: la capacità e i curricula dei nuovi direttori sono gli unici criteri validi. E tra i curricula mi sembra ci siano figure di grande professionalità.
Gli incarichi vengono affidati con qualifica dirigenziale a tempo determinato per un compenso annuo tra i 100000 e i 180000 euro, per 4 anni, se non si saranno dimostrati all’altezza, potranno essere rimossi.
Che un problema di gestione e valorizzazione in Italia esista è sotto gli occhi di tutti, se questa sia la strada giusta per risolverlo, almeno è un tentativo, il fatto che le prime pagine dei media si occupino di gestione museale, è già un grande successo.
Spesso quando qualche visitatore vuole fare un complimento o ad un allestimento, o a qualche attività museale utilizza il paragone con l’Europa “sembra quasi un museo europeo”. Segno che anche tra il pubblico dei non addetti ai lavori, è comunque evidente la differenza nella capacità gestionale.
Da operatore del settore, non sento in questo cambio di passo un pericolo per la tutela e conservazione: nonostante le autonomie speciali inserite dalla riforma, la conservazione in Italia non è competenza del direttore di museo, ma delle Soprintendenze. Sarà sempre e comunque una pluralità di voci a dover esprimere pareri sulle forme di tutela, che sono punto di partenza imprescindibile per la valorizzazione e fruizione.
In qualche maniera mi sembra di percepire la paura che una cultura museale più diffusa, accessibile ad un pubblico più vasto, porti con se per forza un impoverimento e semplificazione della stessa: la sfida deve essere quella di far si che questo non accada e che il rigore scientifico e la ricerca non siano messe in secondo piano dalla divulgazione, ma che allo stesso tempo le prime non si chiudano a riccio su stesse senza dialogare con la seconda.
Vista l’imminente apertura del nuovo anno scolastico, perché non parlarne anche con gli studenti? Se non altro sarebbe per i docenti l’occasione di presentare a i loro studenti questi 20 super-musei e le collezioni che custodiscono.
In generale non è un tema facile, le variabili sono tante, il rischio di trasformare la cultura in un grande spettacolo a favore dei turisti e dei bilanci è forse reale, ma è altrettanto reale il rischio di sacrificare tutto alla tutela, e dare per scontato che la cultura sia un “luogo” immobile, chiuso in se stesso, che non sia in grado di generare risorse e lavoro. Un equilibrio fra le due istanze è necessario, la riforma Franceschini fa un tentativo in questo senso, vedremo se i nuovi direttori sapranno interpretarla.
Se una critica a Franceschini va addebitata in questo momento, non è certa quella di aver indetto una procedura di selezione tutto sommato trasparente negli obiettivi e nelle modalità, piuttosto quella di non aver puntato i piedi sulla questione silenzio-assenso tra enti pubblici nella tutela del paesaggio (un norma molto discussa presentata all’interno della riforma Madia sulla pubblica amministrazione).
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