“Non esistiamo, eppure da grande voglio fare l’attrice”

La riflessione di Jessica sullo stato della cultura e del teatro

teatro foce lugano

Mi presento: sono Jessica, ho 24 anni, ho frequentato il Liceo Classico Giovanni Pascoli a Gallarate, e sono una dei tanti ragazzi che ha deciso di investire la propria vita e il proprio futuro nell’arte, in particolare nel teatro. Studio recitazione da circa sette anni e attualmente sono allieva-attrice presso la Scuola di Teatro Scimmie Nude a Milano; nel contempo sono studentessa in Archeologia presso l’Università Statale.

Alla domanda: “Che cosa vuoi fare da grande?” avrei sempre voluto rispondere: “L’attrice. E poi studio anche l’archeologia, l’epigrafia, il greco e il latino, perché sono stati loro ad avermi dato l’opportunità di sapere chi sono, che cosa voglio fare della mia vita e che tipo di essere umano desidero essere .”

Ma ho troppo spesso risposto, con un misto di imbarazzo ed ironia: “La disoccupata”.  A cercare di infrangere i sogni, prima ancora che la realtà sociale, ci pensa il suo piccolo specchio, la famiglia e, così, penso possiate immaginare le sensazioni di una bambina di sei anni, dopo che le è stato preannunciato freddamente che: “Non guadagnerai niente a fare l’artista.”

Oggi, questa sera, ora che sto scrivendo non sento dentro di me e nemmeno fuori da me di poter concedere  più alcuno spazio  all’ironia, all’imbarazzo, alle battute molto divertenti sull’inutilità dell’arte, all’ignoranza. Non possiamo più permettercelo: non è più tempo, non c’è più tempo.

Il nostro settore, già gravemente in crisi, rischia ora di morire definitivamente e nessuno sembra, com’era logico aspettarsi, dare importanza e la giusta attenzione a qualcosa considerato, già prima di questa emergenza, non necessario, non “bene primario” o, peggio, nemmeno conosciuto per davvero (altrimenti non sarebbe stato nemmeno pensabile poter parlare di “Netflix della cultura”): non è materiale quello che facciamo, non porta profitto, non garantisce cure per nessuna epidemia, non permette di elaborare nuove e rivoluzionarie teorie fisiche. Ci insegna solo ad essere umani. A scoprire di che sostanza siamo fatti, di che sostanza è fatto l’altro, a guardare negli occhi senza paura, a sentire, con grande stupore, che, se rallentiamo, siamo tutti connessi da un’infinita rete di vibrazioni, quelle vibrazioni che raggiungono i nostri cuori, quando stiamo di fronte all’immensità di un’opera d’arte, sia essa il sorriso dipinto di una donna o il corpo di un attore su un palcoscenico. E allora ci sembra davvero che qualcosa possa andare meglio, davvero ci dimentichiamo di definire cosa siamo, per essere semplicemente: l’opera d’arte è lo specchio attraverso il quale l’uomo si vede, con le sue bellezze e turpitudini, e, vedendosi, appunto, è.

Non a caso, la rappresentazione esiste da quando è comparso il primo primitivo uomo sulla Terra. E lo stesso è per la socialità. Senza questi due elementi, pensateci, l’uomo esiste?  E, se l’uomo non esiste, come può esserci il medico, il cassiere, l’ingegnere, l’insegnante, l’astronauta, l’operaio etc.? Non sono problemi che ci poniamo, gli artisti non sono una categoria che ci ricordiamo, perché non sembrano avere un’influenza sulla nostra breve quotidianità giornaliera, se non per quell’ora, al massimo due, beninteso, che decidiamo di dedicare a visitare un museo o a guardare uno spettacolo dal vivo: l’arte ha un’influenza che diventa percepibile e necessaria se dall’osservazione ristretta di un singolo individuo, allarghiamo la nostra visuale all’umanità intera, alla specie umana. Allora, l’arte diventa imprescindibile.

In queste settimane noi siamo stati costretti a vivere con dei surrogati dell’arte e della socialità e, quindi, con un surrogato dell’umanità; siamo essere umani in stand-by al momento e il nostro cervello inizia infatti a perdere qualche colpo: la difesa dal coronavirus, ci garantisce (non sempre) la sopravvivenza, ma non la vita, che è fatta di cose meravigliosamente “inutili”. Il discorso della sopravvivenza deve proseguire accanto a quello della salvaguardia della nostra umanità, o domani usciremo di casa deboli ed estenuati, perfette vittime di qualunque malattia, fisica o psicologica.

Non è, dunque, il momento di proporre altri surrogati “a distanza” : è il momento di ricordarsi del ruolo vitale dell’arte, di ricordarsi che ci siamo anche noi, i lavoratori dello spettacolo e quelli che studiano e lottano per diventarlo, sempre qui, in ultima fila, ad aspettare il giorno in cui verremo conosciuti e riconosciuti. Le porte dei teatri e dei musei sono state le prime a chiudere e nessuno parla di una loro riapertura, pur con le eventuali misure di sicurezza: non siamo nemmeno citati nei calendari dei diversi articoli giornalistici sull’argomento.

Noi non esistiamo. Io non esisto. Eppure mi vedo ancora, bella, giovane e limpida di fronte allo specchio mentre dico: “Da grande? Da grande io voglio essere un’artista “.

Jessica Gentile

di
Pubblicato il 25 Aprile 2020
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