Una frana minaccia il Tresa, i sindaci: «Intervenga il Governo»

Uno studio geologico nella zona alluvionata mette in guardia i comuni della Valle. Buscemi: «I risultati dello studio sono peggiori di quello che avevamo pensato»

«Ora tutti a Roma, vogliamo dire al Governo che rivogliamo la strada provinciale 61». Il grido è quello dei sindaci della valle del Tresa, dopo due anni e mezzo dall’alluvione che si è mangiata la provinciale.
E arriva proprio a poche ore dalla diffusione di uno studio sul dissesto idrogeologico che dimostra la presenza di un milione e mezzo di metri cubi di terra che rischiano di franare a valle creando scenari da incubo per gli abitanti dei comuni di  Cremenaga, Cadegliano Viconago e Lavena Ponte Tresa.

I dati sono stati diramati nel corso di un incontro italo-svizzero tra il presidente del consiglio ticinese Marco Borradori e l’assessore alla sicurezza della Regione Massimo Buscemi tenutosi nella sede municipale di Ponte Tresa svizzera insieme ai rappresentanti della Comunità montana della Valmarchirolo e Valganna; lo studio geologico riguarda il versante della montagna franata tra Cadegliano e Cremenaga e che, ancora oggi dopo due anni e mezzo, blocca la strada che collega Luino a Ponte Tresa.
Da qui la richiesta da parte dei sindaci di un intervento governativo, vista la posizione del fiume, che per buana parte del suo corso rappresenta il confine tra Italia e Svizzera.

La soluzione viabilistica, per la ricostruzione della sp 61 non è stata ancora scelta e i risultati dello studio dicono che ci sono 1,5 milioni di metri cubi di terra che potrebbero ancora cadere a valle.
Una quantità sufficiente a rimandare la decisione di altre sei settimane quando ognuna delle parti in causa sarà chiamata a portare approfondimenti. Regione Lombardia e Provincia dovranno portare simulazioni degli scenari possibili in caso di piogge eccezionali, il Canton Ticino dovrà dire se accetta che il viadotto (una delle tre soluzioni pensate) sconfini in territorio elvetico,  i sindaci dovranno impegnarsi ad ottenere i fondi da due ministeri (ambiente e infrastrutture) e il parere del ministro degli esteri.
La situazione non è affatto rosea e l’inizio dei lavori entro l’anno diventa una chimera. «I risultati dello studio sono peggiori di quello che avevamo pensato – ha ammesso l’assessore Buscemi – non nascondiamo le difficoltà ma dobbiamo approfondire per essere sicuri di prendere la decisione giusta».


Le soluzioni sul tappeto rimangono le stesse di un anno fa ma i problemi sono aumentati. Il presidente Borradori ha sottolineato il fatto che la soluzione del viadotto è la meno auspicabile per i ticinesi a causa della presenza di due importantissimi pozzi di captazione idrica che servono tutta la regione. «Siamo pronti a valutare la proposta – ha detto il rappresentante ticinese –  ma è chiaro che preferiamo altre soluzioni».

L’assessore Buscemi, invece, la preferirebbe alla galleria, troppo costosa, e alla strada a mezza costa, poco sicura.

Intanto il collegamento, dopo due anni e mezzo, è ancora bloccato e il sistema viabilistico nella zona è al limite del collasso dalla parte ticinese a causa dell’imponente flusso di automobili italiane che ogni giorno si spostano in quella zona per andare a lavorare. Va ricordato che il paese di Cremenaga è tutt’ora isolato da Ponte Tresa e i suoi abitanti devono aggirare la frana passando dal territorio elvetico per andare a Lavena Ponte Tresa.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Maggio 2005
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