L’Eccidio dei 5 Martiri di Ferno e Samarate

Riceviamo e pubblichiamo il testo integrale della commemorazione letta il 6 gennaio a Ferno dal rappresentante dell'Anpi Gallarate Michele Mascella in occasione del 63° anniversario dell’uccisione di 5 giovai partigiani nel 1945

Riceviamo e pubblichiamo il testo integrale della commemorazione letta il 6 gennaio a Ferno dal presidente della Anpi Gallarate Michele Mascella in occasione del 63° anniversario dell’uccisione di 5 giovai partigiani nel 1945  

 

Quando ci si appresta alla commemorazione, come in questo caso e purtroppo in altre innumerevoli occasioni, di quanti caddero sotto il fuoco nemico in nome di valori e principi irrinunciabili, il rischio di incorrere nella retorica è grande ed a volte inevitabile: è però doveroso rammentare alle giovani generazioni il senso delle scelte compiute da chi consapevolmente mise in gioco il bene supremo della vita in difesa di quei valori e di quei principi.

 

  Su questi cinque ragazzi si è ormai scritto di tutto ed io non aggiungerò nulla che non sia già ampiamente noto: storici, memorialisti e testimoni del tempo hanno già raccontato la vicenda che li ha visti sfortunati protagonisti di un periodo triste della nostra Storia nazionale, ma altrettanto necessario ed inevitabile e perciò esaltante per i  risultati cui ha dato luogo.

 

Primo fra tutti l’affrancamento da un regime oppressivo di tutte le libertà che aveva afflitto il Paese per oltre vent’anni, decretandone con le sue scelte militaristiche al fianco dell’alleato nazista la quasi totale distruzione: totale distruzione evitata solo dal concretizzarsi di una opposizione armata ed organizzata che prese il nome di Resistenza: e sotto questa bandiera scelsero di militare Nino Locarno, Dante Pozzi, Claudio Magnoli, Silvano Fantin, Paolo Salemi.

 

Ad essi, ed a tanti altri come loro, è dovuto l’omaggio della Memoria collettiva di tutto il Paese al quale immolarono le loro giovani vite, nella certezza di combattere per un avvenire migliore e per l’affermarsi della democrazia e della libertà troppo a lungo bandite dal regime fascista.

 

Regime ormai agonizzante, eppure ben deciso a perpetuare i suoi crimini più efferati: si era al 5 Gennaio del 1945, e di lì a poco l’ Italia ne sarebbe stata liberata.

 

Dalla vittoriosa guerra di Liberazione, come tutti sappiamo, scaturì in un prodigioso sforzo collettivo di auspicata unità nazionale quella che ancora oggi è un esempio mirabile di architettura giuridica ed onnicomprensiva delle più disparate opzioni ideali, storiche, sociali, politiche dell’ Italia che si voleva ricostruire: la Costituzione Repubblicana (di cui abbiamo in moltissime forme celebrato il 60° della promulgazione nell’anno appena trascorso), che assume in sé tutti i valori, i principi, le aspirazioni alla Libertà ed alla Democrazia che furono il portato stesso della Resistenza e di coloro che ne furono protagonisti, come prima detto, fino all’estremo sacrificio.

 

Estremo sacrificio come quello dei cinque ragazzi che oggi ricordiamo, e che presumo non aspirassero al martirio, ma che vi furono indotti da luoghi e circostanze che li colsero impreparati: non ultima, sembra, una scellerata delazione di un giovane aviere repubblichino precedentemente catturato che, proprio in ragione della sua età, ebbe salva la vita in nome della tolleranza e della comprensione.

 

Errore fatale, come si evince dalle memorie di Antonio Jelmini, il Comandante “Fagno” della 1^ Brigata Lombarda, indimenticato protagonista delle vicende partigiane.

 

Ma l’episodio è in sé sintomatico della enorme differenza così stabilita tra chi aveva scelto di stare dalla parte dell’oppressione, dell’angheria, della sopraffazione e del sopruso, e chi invece da quella della ribellione a tutto ciò, schierandosi con la lotta partigiana e con tutti coloro che aspiravano alla libertà ed all’affrancamento dalla dittatura: come fece tra gli altri Paolo Salemi, militare allo sbando come tanti altri dopo l’8 Settembre, siciliano di Noto, che aderì alla Resistenza entrando nelle locali formazioni partigiane del Gallaratese, compiendo così una scelta precisa.

 

Qui vi sono le ragioni profonde di una impossibile equiparazione tra Repubblichini e Combattenti per la Libertà, negli ultimi tempi da parte di ben noti personaggi auspicata, nel delirio di riproposizioni di un malinteso falso patriottismo che tutto dovrebbe confinare nell’oblio e nella piatta commiserazione – uguale per tutti – degli eventi trascorsi.

 

Ebbene, citando una fonte assolutamente non sospetta di partigianeria, a tal proposito valgano allora per chiunque le recenti affermazioni dell’attuale Presidente della Camera On. Gianfranco Fini, al quale proprio in ragione di ciò è opportuno concedere un’apertura di credito:

 

“È doveroso dire che, se non è in discussione la buonafede, non si può equiparare chi stava da una parte e combatteva per una causa giusta di uguaglianza e libertà e chi, fatta salva la buonafede, stava dalla parte sbagliata”.

 

E aggiunge: «I resistenti stavano dalla parte giusta, i repubblichini dalla parte sbagliata».

 

Sono le parole pronunciate dalla terza carica dello Stato, ma nella fattispecie da chi per un lungo periodo è stato l’erede del capo riconosciuto del neofascismo italiano, ed approda oggi ad un necessario riconoscimento in stridente contrasto con alcuni dei suoi importanti ex-colonnelli, anch’essi impegnati in cariche istituzionali di rilievo nazionale.

 

E’ peraltro da rilevare però come lo stesso Presidente Fini, pochi giorni prima delle ultime consultazioni politiche, tenutesi lo scorso anno, abbia pronunciato altre frasi, questa volta inquietanti, sul significato che avrebbe assunto la vittoria elettorale della destra in ordine alle celebrazioni per il 25 Aprile, sostituendo il valore storico della Liberazione dal nazifascismo con quello meno opportuno della liberazione dal governo Prodi: ed anche in quella occasione l’Anpi non mancò di rilevarne quella che oggi appare una evidente contraddizione.

 

Infatti, sconfitta nella scorsa legislatura, la destra torna all’attacco. Un disegno di legge – il n. 1360 del 23 giugno 2008 – presentato da un folto gruppo di parlamentari prevede l’istituzione dell’Ordine del Tricolore, una onorificenza da assegnare indifferentemente a partigiani, deportati, internati militari e a soldati e militi della Repubblica di Salò.

 

Si legge in tale DDL che l’onorificenza di cui trattasi sarà assegnata: “a coloro che hanno fatto parte delle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della liberta`, oppure delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica sociale italiana”.

 

Come se ne evince, si tratta di un’equiparazione indegna.

 

L’esame del disegno di legge è già stato avviato presso la commissione Difesa della Camera lo scorso 12 novembre. 

 

E’ un’onta per i militari di Cefalonia, per quelli del S.Martino (per fare qualche esempio), per tutti coloro che fecero la scelta giusta, per dirla con l’On. Fini: è una grave manifestazione di arroganza, di prevaricazione, di offuscamento e rimestamento della verità storica, in forza di una pur legittima ma effimera vittoria elettorale, che si vuole camuffare e consegnare come desiderio di “rimozione collettiva della memoria ingrata di uno scontro che fu militare e ideale, oramai lontano, eredità amara di un passato doloroso, consegnato per sempre alla storia patria”. 

 

E’ un’offesa bruciante per i tanti, troppi Paolo Salemi: e mal si concilia con i propositi falsamente auspicati di riconciliazione nazionale che può avvenire solo intorno a quei valori condivisi ed iscritti nella Costituzione che intanto è fatta oggetto di innumerevoli tentativi di stravolgimento nei suoi significati fondanti, proprio da coloro che si apprestano a varare la legge sul Tricolore cui accennavo dianzi.

 

Non si può, non si deve “indugiare sui “ragazzi di Salò”, quasi che quella vicenda fosse confinabile nella dimensione adolescenziale dei ragazzi della via Paal: tutti bambini irresponsabili.

 

Laddove ciò che viene svilito è il senso invece di una scelta dirimente fra chi si compromise fino in fondo con il fascismo e chi, come recitano le parole che Italo Calvino regalò ad una bella canzone della Resistenza, “prese la strada dei monti””.

 

E non è un caso che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, supremo garante della Carta Costituzionale e dell’Unità Nazionale, abbia avuto necessità più volte di rimarcare come tali valori siano intoccabili, ripetendone, nel suo messaggio augurale di fine d’anno, l’esortazione al rispetto:

 

 “I valori costituzionali, nella loro essenza ideale e morale. Il valore, sopra ogni altro, dell’unità nazionale. I valori della libertà, dell’uguaglianza di diritti, della solidarietà in tutte le necessarie forme ed espressioni, del rispetto dei ruoli e delle garanzie che regolano la vita delle istituzioni.”

 

Messaggio forte, alto e chiaro, diretto a credenti e laici, di qualsiasi orientamento politico, e per questo lo ringraziamo.

 

L’ Associazione Nazionale Partigiani d’Italia non è un partito politico; voglio anzi rammentare che è un Ente Morale e come tale non partecipa in alcun modo alla contesa politico-elettorale del Paese: è però attenta al divenire dei suoi risultati etici e morali, fedele al suo ruolo istituzionale.

 

E non può, in ragione di questa sua funzione, tacere ad esempio delle annunciate modifiche a nostro parere negative, che si vogliono introdurre nel campo della scuola, che per brevità non vado qui ad enunciare, ma che tanto scalpore hanno determinato nella scuola stessa e nella società civile: e parliamo di una scuola, in particolare quella elementare, che una importante agenzia internazionale specializzata ha catalogato, nei giorni scorsi, come tra le migliori del mondo.

 

Ed un esempio mirabile di quanto affermo è qui oggi davanti a noi, avendo assistito al prodotto dell’intenso lavoro che ha visto impegnati alunni ed insegnanti di questa scuola: ciò che ci fa ben sperare per il futuro, che è di questi ragazzi, e che idealmente si ricollega con i Cinque ragazzi che oggi celebriamo, e che avevano la certezza di battersi per un Paese migliore.

 

Un Paese che, all’Art.11 della sua Carta Costituzionale, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”.

 

E voi capite allora come sia triste assistere ancora oggi, in queste stesse ore, a guerre che hanno il sapore dello sterminio pianificato, dove sembra che la ragione sia sepolta od offuscata dalle vendette sulle vendette, in una spirale agghiacciante che non ha mai fine…

 

Ecco, se mi è concesso il paradosso, direi che i Partigiani hanno combattuto una guerra contro la guerra, e che il loro obiettivo finale sia sempre stato quello della Pace, ed il riconoscersi in una Patria nuova, liberata dagli orpelli di una soggiacente complicità con il nemico invasore. 

 

Bertold Brecht, nel suo lavoro teatrale “Vita di Galileo” ebbe a scrivere: “sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi”, e noi sottoscriviamo pienamente l’amara riflessione.

 

 Questo Paese in verità ha purtroppo avuto bisogno dei suoi eroi, ha avuto bisogno di Nino Locarno, Dante Pozzi, Claudio Magnoli, Silvano Fantin, Paolo Salemi e di tantissimi altri che, come loro, hanno creduto nella possibilità di una identità collettiva nella quale tutti riconoscersi, in una Italia della quale essere fieri ed andare orgogliosi, come capita ad altri Paesi Europei: e questo credo sia ancora un valore da conquistare, insieme a quello di una nuova, più incisiva identità europea.

 

per l’ ANPI Gallarate

Michele Mascella

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 07 Gennaio 2009
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