Rivolta: “Faccio politica e non cedo alle intimidazioni”

Il segretario forzista rimanda al mittente il gesto incendiario ai danni della sua auto e si interroga sul movente

Danilo Rivolta e la sua Lonate, la vittima di un atto di violenza, sia pure simbolica, con l’incendio dell’auto, e un paesone di dodicimila abitanti che si chiude a riccio o allarga le braccia sconsolato. L’umore, comprensibilmente, non è dei migliori. Incontriamo Rivolta nel suo studio, trovandolo abbastanza tranquillo, dato l’accaduto, ma al tempo stesso evidentemente impegnato a riflettere e porsi delle domande. Un attacco al politico locale, al professionista, a entrambi? Un avvertimento, o una vendetta? Per cosa poi? «Forse è una sommatoria di cose che coinvolge entrambi i miei ruoli, pubblico e privato. Io mi sento una persona trasparente, ma quella politica potrebbe anche essere la chiave» aggiunge sibillino «certe operazioni vanno avanti quando vi è la volontà politica, altrimenti si fermano. E se qualcuno compie certi atti, è perchè altrove funziona comportarsi così: qui però hanno sbagliato indirizzo». Il territorio è un’altra spiegazione del perchè metodi malavitosi abbiano fatto presa qui: «Andiamo a rimorchio di Malpensa, quando l’aeroporto "tira" è tutto ok, ora invece… L’aeroporto è stato il germoglio anche di presenze venute da fuori, buone e non. Comunque rifletterei a fondo sui due incendi di auto, il mio e quello dell’architetto Liccati dell’ufficio tecnico la scorsa estate. I carabinieri sono stati efficienti e gentili e li ringrazio, spero che anche loro facciano le dovute riflessioni su questi fatti, so che vogliono vederci chiaro». Impresa non facile senza testimoni nè telecamere: l’atto di un individuo isolato sarebbe tutt’altra cosa rispetto a una vendetta di un gruppo compatto, coeso e in cui nessuno aprirà bocca. Anche qui, un’ombra di ‘ndrangheta. «Siamo stati "battezzati" in un certo modo» sospira Rivolta, «la realtà non si può nascondere, è circa dagli anni Ottanta che il clima è cambiato. Comunque sono grato della solidarietà ricevuta, sono parole di civiltà che fanno bene qui, dove rischiamo davvero il Far West».

A fare da contraltare a Rivolta è il paese, che reagisce con un mix di paura e imbarazzo. La tarda mattinata non è il momento ideale, ad un certo punto nella piazza centrale è il deserto assoluto. Non è facile trovare gente, Lonate pare assopita e silenziosa.  «Non siamo di Lonate» svicolano i primi avventori del bar in piazza che avviciniamo; e nessuno vorrà comunque parlare se non in modo rigorosamente anonimo. «Queste cose non erano mai accadute» scuotono la testa tre pensionati, «e sono da condannare, è solo da dieci-vent’anni che c’è questo clima. Non è nel DNA dei lonatesi» dicono (segno dei tempi: pensionati che parlano di genetica) «compiere certi atti, almeno di noi. È venuta gente da fuori, sì, ma è anche cambiata le mentalità, i giovani non li conosciamo». «Succede» commenta per l’appunto un ragazzo, sarcastico e amaro. «Dovranno pur lavorare anche le concessionarie…» Umorismo da crisi economica.
In un altro bar, a poche centinaia di metri di distanza, la barista, figlia del profondo Sud, fa spallucce: «Viviamo in questo posto e dobbiamo accontentarci, sperando che nulla accada a chi lavora e alla gente che si fa i c… suoi». Due caratteristiche che non sempre coincidono. Fuori dal municipio, a due passi dall’ingresso, un crocchio di persone intente a discutere non è da meno: «Non sappiamo niente, se ne bruciano di macchine… Comunque sono fatti da condannare, e spiace che accadano». In via Manzoni, a due passi dal luogo dell’attentato incendiario, un ragazzino e un giovane residenti nei palazzi antistanti l’abitazione di Rivolta descrivono la scena: «Dei botti, forse le gomme, e tanto fumo che non si vedeva più niente». L’uomo ricorre all’ironia: «Prima una funzionaria del Comue, ora il segretario di Forza Italia: chi sarà stato, i comunisti?» scherza. «Davvero non saprei che dire d’altro, io mi faccio i fatti miei, e di grane non ne voglio».

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Pubblicato il 29 Gennaio 2009
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