Chiude il suo negozio a Malpensa: licenziata dopo nove anni

La storia di Miriam, dipendente di un negozio di accessori al terminal 1. Lei e i suoi quattro colleghi saranno lasciati a casa perchè il punto vendita chiude: "Desolante vedere i corridoi vuoti. Presto altri faranno la stessa fine"

La crisi economica unita al ridimensionamento di Malpensa continua a far strage di lavoratori. Questa volta non raccontiamo la storia di dipendenti del check-in di questa o quella compagnia o di impiegati sul piazzale lasciati a casa per la crisi del settore volo. Questa volta a perdere il posto sono cinque dipendenti di uno dei quarantacinque negozi di Malpensa: entro febbraio il punto vendita di prestigiosi accessori nell’area imbarchi B del terminal 1 chiuderà per l’ultima volta la serranda e per i cinque lavoratori ci sarà la mobilità. Cinque non sono tanti, ma da quello che si sente in aeroporto la sensazione è che ci potrà essere un effetto domino difficile da calcolare.

A raccontare la vicenda è Miriam, dal 1999 impiegata in aeroporto, responsabile del punto vendita, un figlio di diciotto mesi e un marito anch’egli in cerca di lavoro: «Fra qualche mese la situazione si farà sempre più difficile –  racconta a VareseNews -. In alcuni casi gli sviluppi si avranno a breve. Il sentore c’è da qualche mese. Per il nostro negozio si stava discutendo un ingrandimento, poi per mesi la proprietà non si è più fatta sentire ed ora la comunicazione della chiusura. Le motivazioni sono anche comprensibili: c’è stato un calo del mercato, gli affitti da pagare sono esorbitanti e le realtà più piccole non riescono a stare nei budget (nella foto, i corridoi di Malpensa il giorno del primo volo di Cai). Per mesi noi siamo stati nel limbo, senza sapere nulla, senza certezze: ora almeno siamo sicuri che qui non lavoreremo più». Di crisi Miriam ne ha viste nel passato: «Lavoravo a Malpensa già nel 2001 e dopo l’11 settembre è stata dura – spiega -, almeno però allora c’era Alitalia che lavorava, un minimo di passeggeri era garantito. Ora la situazione è angosciante. Ripeto: paradossalmente è una fortuna che sia finita. Fare ore e ore in negozio senza che entri nessuno, aprire il cassetto a fine giornata e non trovarci nemmeno un euro, passare la giornata a dare informazioni perché il banco di fianco a noi non ha personale ed è chiuso 10 ore su 14 è deprimente. Col volo dal Giappone ad esempio c’era la fila al check refound, ora è desolatamente vuoto. I bar sono vuoti e hanno limitato il personale all’osso: arrivassero 150 persone tutte insieme non credo ce la farebbero a reggere. Anche le scelte di Sea di spostare i passaggi e non andare incontro alle esigenze degli esercizi commerciali hanno complicato la situazione. Una volta si diceva che Montenapoleone si era spostata a Malpensa: verissimo, ma chissà fino a quando reggeranno anche le grandi marche».

Per Miriam e i suoi quattro colleghi (due ragazzi giovani e due mamme con figli di tre e otto anni) resta solo la mobilità, si diceva: «Qui sarebbe un bel posto per lavorare – chiosa la nostra interlocutrice -. Le prospettive per lo scalo ci sarebbero anche: il problema è il tempo. Ci sono realtà che non possono reggere ancora per molto in questa situazione di stallo. Quando ci incontriamo tra di noi, ce lo ripetiamo sempre: “chissà se ci vedremo ancora e per quanto”. Le flessioni nelle vendite vanno dal 20 al 70 per cento. Reggere a lungo è impensabile».  

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Febbraio 2009
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