Chiude la Tessitura di Varano, 18 lavoratori in cassa integrazione

Lo stabilimento è di proprietà per metà del gruppo Michele Solbiati Sasil e per metà della Max Mara. La griffe di moda ha deciso di non produrre più il filato di lino pregiato

Un’altra azienda storica nel ramo tessile chiude i battenti nella provincia di Varese. Si tratta della Tessitura di Varano Borghi, di proprietà per metà della Michele Solbiati Sasil e per metà della Max Mara. La prima è una delle più antiche industrie tessili italiane, che appartiene della stessa famiglia dal 1874 con rapporti commerciali con mezzo mondo; la seconda è una delle più apprezzate griffe della moda made in Italy con più di 4500 dipendenti nel mondo. La decisione sarebbe scaturita dalla decisione di Max Mara di non produrre più a Varano Borghi un tipo di filato di lino pregiato, unico prodotto realizzato dai 18 dipendenti di Varano (per lo più donne), che in assenza delle commesse in conto terzi destinate a Max Mara non hanno possibilità di andare avanti: anche il gruppo Sasil infatti sta attraversando un momento economicamente difficile con relativa ristrutturazione aziendale in corso e non può più sobbarcarsi la prosecuzione dell’attività nella fabbrica varanese. La produzione per Max Mara, in calo dal 2007, ammontava a circa 600 mila metri all’anno di filato di lino, un prodotto di pregio di nicchia realizzato in Italia esclusivamente dallo stabilimento di Varano Borghi, che può vantare macchinari modernissimi (24 in tutto) e costosissimi (circa 200 mila euro) di marca tedesca (Dornier), cambiati solo cinque anni fa, il meglio sul mercato. I lavoratori sono già in cassa integrazione a zero ore: «Pensavamo al solito fermo per rinnovo delle linee, cosa che succede ogni anno – spiega Walter Ghiringhelli, 59 anni, da otto dipendente della Tessitura di Varano Borghi -. Invece c’è piovuta addosso la notizia della chiusura. Mi spiace soprattutto per i tanti giovani, ho visto miei colleghi piangere. Mi chiedo una cosa: Max Mara fa del made in Italy un vanto a livello mondiale, ma se non produce più niente in Italia e compra i prodotti finiti in Cina, come può vantarsi della produzione di casa nostra?».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 26 Febbraio 2009
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