Dopo il parto, la depressione: saper cogliere i campanelli d’allarme

Un convegno presso l'ospedale cittadino su un male insidioso che mette a rischio la salute delle neo-mamme e la serenità di una famiglia appena formata. Tra i relatori Massimo Picozzi

La nascita di un bambino modifica profondamente la vita della donna e gli assetti della coppia e della famiglia normalmente senza particolari conseguenze se non quella di adeguarsi alle esigenze del nuovo nato. Si possono però verificare situazioni che vanno da un disagio della neomamma causato semplicemente dalla stanchezza e da un calo dell’umore – anche per motivi ormonali – a uno stadio più grave ma transitorio detto “baby blues” (80% di casi) fino alla vera e propria depressione post-partum (10%).
Se n’è discusso ieri sera all’ospedale di Saronno nel corso di un incontro alla presenza di pediatri, psichiatri, psicologici e medici di famiglia. L’evento, organizzato dall’Unità Operativa di Pediatria dell’ospedale di Saronno, diretta dal dott. Giovanni Montrasio, è uno degli appuntamenti della sesta edizione di “Percorsi e funzioni in Pediatria: tra ospedale e territorio”.

“Gli esperti intervenuti – spiega il primario Montrasio – hanno affrontato il tema dal punto di vista clinico ma anche da quello dell’approccio relazionale. E’ fondamentale infatti riconoscere i segnali di eventuali problematiche riconducibili alla sfera della salute mentale (ansia, depressione) e definire percorsi di cura che contemplino sia il supporto psicologico sia quello farmacologico”.
E’ emersa dunque la necessità di un confronto costante tra gli “attori” che entrano in scena quando c’è una nuova vita, a sostegno sia del bambino sia genitori, affinché siano pronti a sentire i campanelli d’allarme, che possono sfociare anche in tragedia, come qualche volta la cronaca ha tristemente raccontato sui media locali e nazionali, e individuare gli iter terapeutici più indicati.

“Il messaggio emerso dall’incontro – aggiunge lo psichiatra Massimo Picozzi, tra l’altro consulente per la Procura di Aosta per il caso del piccolo Samuele Lorenzi di Cogne – è che è fondamentale creare una rete per prevenire il maggior numero di situazioni a rischio. E’ prioritario seguire una donna che manifesti dopo la gravidanza dei problemi soprattutto con un supporto psicologico e in particolar modo quando ha già avuto problemi psicologici o abusa di sostanze stupefacenti o alcool”.
Picozzi ha analizzato nel corso dell’incontro il caso “Cogne”, quello di Loretta Zen di Santa Caterina Valfurva, che ha ucciso il proprio piccolo mettendolo nella lavatrice, e quello di Mary Patrizio di Lecco, che ha annegato il bambino nella vasca da bagno, sottolineando l’importanza di non trascurare i segnali d’allarme.

I DATI

Il “baby blues”, quella sindrome che si manifesta per una quindicina di giorni dopo il parto con uno stato di profonda malinconia, crisi di pianto, inquietudine, ansia si differenzia dalla vera e propria depressione post-partum solo da un punto di vista quantitativo. Quest’ultima, infatti, è caratterizzata da sintomi più gravi e più duraturi.
Ma quali i dati relativi all’incidenza di “baby blues” e depressione?
“L’incidenza della depressione in gravidanza è di circa il 10% – spiega il dott. Federico Durbano, psichiatra del Fatebenefratelli di Milano -, comparabile con quella delle donne non gravide. La prevalenza della depressione in gravidanza è sicuramente maggiore nel primo trimestre (13%), mentre decresce nel secondo(2,5-7%) e nel terzo (2,3-6.3%). La sintomatologia depressiva – prosegue lo specialista – può risultare di difficile diagnosi perché insonnia, anergia, apatia, inappetenza e mancanza di concentrazione sono sintomi comuni in gravidanza. Un mancato riconoscimento e conseguente trattamento della depressione aumenta il rischio di depressione nel post-partum”.
Da non trascurare anche il “baby blues”, sintomatologia affettiva transitoria, legata a numerosi aspetti della “vita” della futura madre: aspettative, assetto ormonale, ambiente di vita. “In alcuni studi arriva fino al 85% dei casi, ma comunque è di durata molto breve – aggiunge Durbano -. Deve però essere monitorata attentamente in quanto 1 su 5 di queste donne è a rischio di un episodio depressivo maggiore entro 12 mesi. Gli interventi terapeutici, riservati solo alle condizioni clinicamente rilevanti, comprendono farmacoterapia, con tutte le incertezze del caso legate alla scarsità di dati scientificamente “forti”, e le diverse psicoterapie”.
Sono poi intervenuti il dott. Roberto Giorgetti, primario delle Pediatrie degli ospedali di Busto Arsizio e Tradate, che ha parlato della prima visita pediatrica e dell’attenzione che si deve prestare alla nuova famiglia e alle relazioni che la caratterizzano, Marica Quirico, pediatra di libera scelta, e Amalia Mulas, psicologa della Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale di Saronno, che hanno analizzato la triade “Madre, padre e neonato o madre, pediatra e neonato?”.
Ha concluso l’incontro la dottoressa M. Cristina Tischer, pediatra di famiglia di Saronno, che ha focalizzato l’attenzione su come deve comportarsi il pediatra per evitare il burn-out, cioè quella sindrome da eccessivo stress che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, e come comportarsi in caso di burn-out per non aggiungere difficoltà ad una relazione già di per sè delicata come quella con le nuove famiglie che si costituiscono.

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Pubblicato il 20 Marzo 2009
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