Allarme per le piccole aziende, a giugno incombe la scure del fisco

Strette fra la crisi e banche dai portafogli più chiusi che mai, tante micro e piccole imprese (MPI) non saranno in grado di far fronte al dovuto per mancanza di liquidità: lo denunciano i vertici provinciali di categoria in un incontro pubblico

Le aziende del Varesotto, in stragrande maggioranza MPI (micro e piccole imprese, nuova definizione "tecnica" del settore), sono in sofferenza e a giugno con l’acconto fiscale si potrebbe veramente aprire un doppio baratro: per gli imprenditori da un alto, per le casse pubbliche dall’altro. A ribadirlo, chiedendo in coro un rinvio, sono i vertici di categoria dei "piccoli", che insieme formano l’ossatura economica della provincia, e quelli del commercio. Lunedì sera presso le scuole Aldo Moro si è svolta una interessante serata di confronto indetta dalla lista PdL-Giovani per Arsago, che candida Paolo Mastorgio. Arsago Seprio per una sera "capitale economica", complice la presenza (in veste assolutamente di categoria, e non amministrativa, come chiariva) del sindaco uscente Giorgio Merletti, presidente regionale e vicepresidente nazionale di Confartigianato, che nel solo paesello raccolto intorno al famoso battistero altomedievale raccoglie non meno di 99 aziende. Con Merletti erano presenti il presidente di CNA Daniele Parolo, il presidente di Malpensafiere ed esponente della Camera di Commercio varesina Renato Scapolan, Gianni Lucchina direttore di Confesercenti Varese, Giordano Ferrarese in rappresentanza di Ascom Gallarate.

Il grido di dolore è tanto generale quanto comprensibile, data la situazione. «La crisi è reale» denuncia Parolo, «abbiamo 5-6 volte le richieste di ammortizzatori, fra contratti di solidarietà e casse integrazione in deroga, che avevamo un anno fa». Nemmeno la rivisitazione degli studi di settore fin qui è servita a molto: il peggio arriverà con l’estate. «Manca proprio la liquidità, a giugno in molti non pagheranno le tasse». E non certo per protesta. Le imprese, ricorda Parolo, patiscono una burocrazia spesso opprimente: «serve meno peso dal pubblico e più libertà per le imprese». Anche chiedere una "semplice" delocalizzazione da un centro abitato a strutture esterne, spiega, può voler dire, nelle circostanze attuali, mettere una corda al collo ad aziende già in ginocchio.
Giorgio Merletti è persona schietta, e una volta chiarito di essere venuto solo perchè invitato, non certo per manifestare un appoggio particolare alla lista di Mastorgio, mugugna sugli «spiacevoli ricordi» lasciatigli dai gioverni Prodi prima, Berlusconi poi. Come l’ultimo: in assemblea nazionale di Confartigianato il governo annuncia "ciò che va bene per le piccole imprese, va bene per l’Italia", poi, ricorda, «giù soldi ad Alitalia, alla Fiat, alle banche». Qualcosa di utile alla fine con il sottosegretario Sacconi si è fatto per i "piccoli", non tutto è negativo. Ma restano i problemi di fondo. I Confidi garantiscono i prestiti bancari alle aziende, ma a loro volta esistono finchè gli imprenditori hanno risorse per alimentarli: se a questi le banche non danno più nulla, si rischia il cortocircuito. La fame di liquidità è tremenda: «Cinquanta milioni messi a disposizione da Confartigianato sono andati bruciati in 24 giorni». E a giugno, con le scadenze per le tasse, cosa accadrà? Merletti non è tenero neanche con il federalismo fiscale. «Ci vorranno, prima di applicarlo, sette anni: dove saremo per allora? Intanto molti Comuni campano di oneri di urbanizzazione e con i piani integrati d’intervento mettono in mano l’urbanistica a soggetti diversi dall’amministrazione pubblica». Nè le liti da cortile sulle partecipate, ormai nani fra i giganti, appaiono incoraggianti. Un commento anche sui fatti di Torino, con le contestazioni fra sindacalisti: «Ricordate la marcia dei quarantamila? Anche questo è stato uno schiaffo a un tempo ai sindacati e alla politica».

Renato Scapolan, accorato, ha una richiesta precisa: «La politica faccia meno chiacchiere e decida: meglio fare, magari anche sbagliando, che lasciare le cose nel limbo». E quando Ferrarese per Ascom, tra una denuncia e l’altra dei balzelli sul settore commercio (ultimo quello della Scf, società consorziale fonici, in base a una norma del 1941, sic!, per recuperare le perdite dell’industria discografica devastata dalla pirateria) rilancia la tematica del turismo, Scapolan ribatte legando il tema a quello della promozione dell’industria varesina all’estero. «Non c’è più la grande industria che faceva da riferimento per le piccole imprese, ora c’è una polverizzazione senza testa». Lucchina, per parte sua, fustiga la concentrazione di centri commerciali, che nell’area del Sempione è «la più alta d’Europa». La crisi, per lui, è figlia anche di determinate scelte politiche e amministrative, nè servonoa  tamponarla governi che, in modo bipartisan, «favoriscono sempre gli stessi. Ma al territorio chi pensa?»

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Pubblicato il 19 Maggio 2009
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