Inda, si tratta. I lavoratori presidiano il palazzo
Incontro presso l'Unione degli Industriali della provincia di Varese tra sindacati e azienda per definire il piano di ristrutturazione. I lavoratori chiedono chiarezza
«Andate all’Ikea il sabato pomeriggio e capirete perché la Inda di Caravate chiude». La battuta del lavoratore nasconde un’analisi concisa e impietosa: la fabbrica per cui lavorava non è più competitiva sul mercato e subisce la concorrenza dei paesi emergenti, Cina in testa. Quando arriva il direttore del personale all’ingresso della sede di Univa, dove si tiene la trattativa tra sindacati (Fiom, Fim e Uilm) e azienda, passsando in mezzo a due ali di tute blu, viene accolto dai fischi. «Però almeno ci ha messo la faccia» dice un altro lavoratore.
Il palazzo di piazza Monte Grappa è tappezzato di cartelli e striscioni. I lavoratori della Inda hanno portato fischietti e tamburi. Sono lì dalle 9 di mattina in attesa di un segnale che venga dal quarto piano dove sindacati e azienda stanno cercando di trovare un accordo sul destino di 230 persone e la chiusura della storica fabbrica di Caravate.
Alcuni lavoratori sono già stati trasferiti allo stabilimento di Pagazzano, in provincia di Bergamo, sono tutti del reparto meccanico. «Siamo in sette – spiega Rodolfo Lischetti – andiamo ogni mattina a Bergamo e facciamo 200 chilometri al giorno. C’è chi si alza alle cinque e chi, come quelli di Cadrezzate, anche alle quattro e mezza. Per il momento, andiamo con una macchina aziendale, ci hanno garantito che ce la lasciano per 15 giorni e poi si vedrà. Noi lavoriamo alla Inda da sempre e questo trasferimento ci stravolge la vita».
«Speriamo che ci diano un’integrazione – dice Silvano Boscolo, lavoratore del reparto officina -. Comunque, di là, non è che stiano meglio, hanno fatto anche loro la cassa integrazione. Noi dal punto di vista della meccanica eravamo meglio, tanto è vero che le macchine del montaggio gliele facciamo noi. Loro sono avanti sulla vetreria. È evidente che l’azienda non ha fatto gli investimenti giusti».
I lavoratori sono arrabbiati perché, a loro avviso, chi aveva ruoli dirigenziali non ha saputo innovare e soprattutto non ha ascoltato la voce di chi era in produzione e vedeva quello che non funzionava. «Noi abbiamo sempre indicato ai vertici – continua Lischetti – le cose che non andavano e l’importanza di perseguire la qualità, ma non ci hanno mai ascoltato. Quindici dirigenti per trecento lavoratori è un rapporto che non tiene. Hanno drenato risorse che era meglio mettere nella produzione. Da noi c’erano avvitatori vecchi di vent’anni, gente che metteva le viti a mano, mentre ai dirigenti che hanno contribuito a determinare questa situazione hanno dato sostanziose buonuscite. Come si fa ad essere competitivi con questa situazione».
In mezzo ai dipendenti della Inda ci sono anche dei lavoratori della Usag di Gemonio, azienda metalmeccanica specializzata nella produzione di utensili, venuti a portare la loro solidarietà ai colleghi di Caravate. «Due anni fa ci siamo passati anche noi – dice Pietro Falzone delegato della Fim-Cisl – mobilità e licenziamenti, ma inziamo a vedere qualche spiraglio perché in questi mesi sono state assunte 15 persone a tempo indeterminato».
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