La famiglia del Varese riunita per ricordare Peo Maroso

A un anno dalla scomparsa, il Salone Estense ha ospitato la presentazione della biografia "Leggenda del calcio, bandiera del Varese" in una serata piacevole e a forti tinte biancorosse

Una persona, con una sua storia solida ben tracciata che giocava a calcio, e non viceversa. Non un calciatore che poi, a margine, aveva una sua vita privata. Questo è il tratto di Peo Maroso che ha tracciato con maggior forza Stefano Affolti, l’autore del volume “ Leggenda del calcio, bandiera del Varese” che è stato il (bel) pretesto per ricordare l’uomo simbolo del calcio biancorosso a un anno dalla scomparsa.
Dopo il pranzo in un ristorante cittadino cui hanno partecipato, tra gli altri, Devis Mangia e Pietro Anastasi la famiglia del Varese si è data appuntamento al Salone Estense per la presentazione ufficiale del libro edito da Pietro Macchione; tra gli ospiti il sindaco Fontana, l’onorevole Marantelli e il presidente Laurenza a sottolineare la vicinanza di città e società calcistica. Giudizi concordi, e non poteva essere diversamente, sul Peo: «che è arrivato da fuori ma che è stato per tutti un punto di riferimento in città» ha sottolineato Fontana.
Ma è ancora Affolti, insieme a Claudio Piovanelli che ha curato la prefazione, a tracciare con precisione alcuni momenti importanti nell’esistenza e nelle formazione avuta da Maroso, che a 14 anni ha perso il fratello Virgilio nella tragedia di Superga (e proprio Virgilio si chiama il figlio, anche oggi ospite con tutta la famiglia), a 18 a sfiorato l’esordio in Serie A proprio con la maglia del Torino salvo essere fermato per una diagnosi medica che tempo dopo si rivelò sbagliata, che lo costrinse a lasciare il calcio e a che lo fece finire a lavorare in fonderia.
«Da questi shock Peo ha tratto la grande forza che lo ha portato a raggiungere la Serie B a 29 anni e la Serie A a 30 – ha proseguito Affolti – Lui amava ripetere di aver “iniziato quando gli altri finiscono” ma appunto ha tratto forza da quello che gli era accaduto per onorare al meglio suo fratello sul campo di gioco». «Nel calcio di oggi – ha aggiunto l’autore – Maroso non si sarebbe trovato a proprio agio. Non era solo schietto, ma anche dotato di grande autoironia, cosa che in questi anni cozza con il mondo del pallone».
Lasciato il football giocato però, il Peo ha continuato a essere un grande, prima come allenatore e poi come dirigente. Dalla panchina del Varese lanciò una serie di giovani che riportarono a sorpresa la squadra in A, testimonianza portata da due ragazzi di allora come Ernestino Ramella e Vito De Lorentis insieme a Mario Grotto che fu anima dirigenziale di quelle squadre sbarazzine e vincenti. E ancora, quando il Peo sembrava destinato a una pensione tranquilla da vivere facendo il nonno nella sua casa di Avigno, con parziale vista sul “Franco Ossola”, ecco la nuova missione: rifondare il calcio in città insieme all’amico di sempre Ricky Sogliano e a pochi altri (Giorgetti, Caccianiga, Papini, Frontini, Belluzzo, Maccecchini e speriamo che eventuali dimenticati non si offendano).
«Il Varese aveva sempre avuto fama di squadra capace di lanciare i giovani, ma per la scuola calcio si era sempre appoggiato alle società della zona – ricorda Marco Caccianiga – Quando, quasi dieci anni fa, demmo vita all’attuale As Varese 1910 fu proprio il Peo a pretendere la nascita di una scuola calcio e da lì in avanti l’ha sempre seguita con il suo sguardo sornione». Diventando per tutti “Nonno Peo”, una definizione che campeggia su un grande striscione che non manca mai ad allenamenti e partite in quello stadio nel quale gli è stata dedicata la Curva Nord. E chissà che a quell’intitolazione non ne segua qualche altra in futuro, magari una via cittadina (argomento che a livello più generale anche VareseNews ha affrontato tempo fa), anche se il sindaco ha ricordato le difficoltà burocratiche del caso. Pazienza, stiamo ad aspettare, tanto la storia di Maroso, nonostante la sua scomparsa che tutti sentono prematura, è stata a lieto fine. Lo dice Affolti, lo sottoscriviamo noi: il Peo ci ha lasciato una squadra, il suo Varese, che in pochi anni è risalita in B e lanciato giocatori e tecnici anche al piano di sopra. La sua firma, in tutto ciò, si vede eccome.

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La serata per Peo Maroso 4 di 10
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Pubblicato il 16 Settembre 2013
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