Addio a monsignor Ceriotti

Originario del paese in provincia di Varese, ha dedicato la sua vita da sacerdote alla "missione di comunicare"

monsignor Francesco Ceriotti

Si terranno a Samarate i funerali di monsignor Francesco Ceriotti, per anni direttore dell’Ufficio comunicazioni della Conferenza episcopale italiana, morto ieri all’età di 95 anni. Ceriotti era originario proprio di Samarate (dove era nato nel 1921, quando il paese era ancora in provincia di Milano), ha dedicato il suo ministero in particolare al tema della comunicazione, prima a Milano e poi a Roma, dove venne chiamato negli anni Settanta.

Tra i progetti avviati da monsignor Ceriotti c’è la rete televisiva Sat2000, divenuta oggi Tv2000 sul digitale terrestre, e Radio In Blu. A lungo fu anche nel consiglio di amministrazione di Avvenire, in due periodi a cavallo tra a Settanta e Ottanta e poi tra Ottanta e Novanta.

I funerali si terranno martedì 8 novembre alle 11 nella chiesa parrocchiale della Santissima Trinità a Samarate.

Oggi il quotidiano della CEI l’ha ricordato con un lungo e dettagliato articolo:

Era un maestro che non saliva mai in cattedra. Mai aveva la pretesa di insegnare. Nessuno lo sentì mai alzare la voce. Eppure non si contano coloro che furono alla sua scuola. «Ceriotti? Un maestro, un padre, un compagno di viaggio». Così lo ricorda il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il primo vero ricordo di don Francesco risale a quando lui, giovane prete di Osimo, fu chiamato a Roma come aiutante di studio alla Segreteria generale della Cei, dal 1988 al 1991. Ceriotti era direttore di un Ufficio comunicazioni sociali che si preparava al grande salto degli anni Novanta. Ma si ricorda soprattutto del momento più delicato che ci possa essere, quello in cui un leader, di qualunque genere, rivela la sua vera natura: il passaggio delle consegne.

«Ceriotti – racconta Giuliodori – lasciava la direzione dell’Ufficio che aveva fondato, anzi “inventato”, e condotto per una ventina di anni ottenendo indiscutibili risultati. La lasciava a me, a un prete quarantenne, quindi relativamente giovane. Poteva avvertire il mio arrivo come un’invasione. Invece…». È davvero il momento della verità, quello in cui il capo lascia la sua creatura. In quel momento si scopre il senso, e il peso, di quel “sua”: era lui ad appartenere a lei, o lei ad appartenere a lui? «Nessuna gelosia. Soltanto consigli, quando gliene chiedevo. Da quel momento è stato un padre e fratello capace di sostenermi nella più totale discrezione».

(continua a leggere su Avvenire)

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 07 Novembre 2016
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