Aumenta la tassa d’imbarco? Pare di no
La paga chi parte in aereo, sarebbe una fonte importante per i Comuni intorno all'aeroporto, ma va in parte ad Alitalia. L'aumento è in un emendamento, ma il ministro Delrio è contrario

La “tassa d’imbarco” aumenterà ancora? L’ultimo ritocco risale a due anni fa e ora il tema torna alla ribalta con un emendamento alla legge di bilancio. Un aumento comunque che pare destinato a rimanere virtuale: il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, retto da Graziano Delrio, ha infatti espresso parere negativo alla proposta.
Di «emendamento sbagliato nella sostanza e nel metodo» parla Dario Balotta, presidente di ONLIT, l’Osservatorio Liberalizzazioni Trasporti. Il motivo? «In sostanza porterebbe a 8,5 euro, dagli attuali 6,5 euro, una già discutibile tassa che finanzia nella maggior parte la cassa integrazione dell’Alitalia. La tassa sul passeggero, di fatto, è una nuova imposta iniqua».
Istituita dalla finanziaria del 2004 (legge 350/2003), la “tassa imbarco” si chiama in realtà ufficialmente “addizionale comunale sui diritti d’imbarco”: è dovuta ai Comuni che mettono a disposizione una parte del loro territorio come sedime aeroportuale. La tassa viene pagata da ogni passeggero sul biglietto in partenza dall’Italia, il gestore aeroportuale la versa allo Stato. Pur essendo una tassa a beneficio degli enti locali viene gestita dal Ministero dell’Interno con opportuni trasferimenti: negli anni è diventato molto problematico per i Comuni ottenerla, come denunciato dall’Associazione Comuni Aeroportuali (Ancai, guidata dal vicesindaco di Ferno Mauro Cerutti). In compenso una parte delle risorse è stata dirottata sul fondo di solidarietà per i lavoratori, che di fatto è uno strumento ulteriore per pagare la cassa di Alitalia.
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