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«Fu lui a uccidere la moglie»: comincia il processo a Giuseppe Piccolomo
La Corte d’Assise di Varese respinge le richieste della difesa per non celebrare il processo. L’8 giugno l’imputato in aula. La figlia: «Ora giustizia sia fatta»
Ne bis in idem. «Non due volte per la stessa cosa».
È stato questo il primo scoglio su cui il processo a Giuseppe Piccolomo, accusato di aver ucciso la moglie Marisa Maldera, nel 2003, rischiava di arenarsi: in termini giuridici il ragionamento del suo difensore, Stefano Bruno, è stato presentato di fronte alla Corte d’Assise di Varese sotto forma di eccezione preliminare: «Questo processo non deve continuare, non si può essere giudicati una seconda volta per lo stesso fatto».
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Invece Orazio Muscato, che insieme al collega togato Stefano Colombo e ai giudici popolari è parte la Corte D’Assise di Varese, a mezzogiorno di oggi, lunedì 28 maggio, ha letto l’ordinanza con la quale è stato deciso di proseguire nel processo, non accogliendo le richieste della difesa.
L’avvocato di Piccolomo (noto alle cronache perché condannato per l’assassinio di Carla Molinari – “l’omicidio delle mani mozzate” – ) ha invocato il contenuto dell’articolo 649 del Codice di procedura penale dove appunto si legge che “L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto”.
Un ragionamento che però cozza con la richiesta dell’accusa, sostenuta dalla pm milanese Maria Grazia Omboni: il procedimento è stato avocato dalla procura meneghina nel 2013, sette anni dopo il patteggiamento di Piccolomo a un anno e quattro mesi per la morte di Marisa Maldera, per il quale gli venne contestato il reato di omicidio colposo: un incidente.
Ma sulla vicenda venne appunto aperta un’indagine e secondo l’accusa Piccolomo, quella sera di febbraio del 2003 avrebbe somministrato psicofarmaci alla moglie con l’obiettivo di farla salire in auto per andare a bere qualcosa insieme a Varese. La coppia però, mai arrivò al capoluogo: l’uomo, sempre secondo l’accusa, approfittando dello stato di torpore dovuto alle benzodiazepine avrebbe parcheggiato la macchina in mezzo a un campo a Caravate e dopo averci versato sopra una tanica di benzina avrebbe incendiato la Volvo Polar dove la donna è morta arsa viva.
L’imputato non era in aula durante la lettura dell’ordinanza del giudice e le prime schermaglie fra le parti: sarà nella gabbia dell’aula bunker di Varese il prossimo 8 giugno.
Il processo servirà a ricostruire il contesto famigliare di quando avvennero i fatti e per questo verranno ascoltati diversi testi richiesti, una sessantina, che verranno interrogati da accusa, difesa e parte civile patrocinata dall’avvocato Antonio Cozza.
In aula era presente una delle due figlie della vittima, Tina Piccolomo: «Sono felice che sia cominciato questo processo perché ora è il momento della verità. Adesso vogliamo giustizia per la morte di nostra madre», ha affermato a margine dell’udienza, riassumendo lo stato d’animo anche per la sorella Cinzia, pure lei parte civile in questo processo di Corte d’Assise.
NE BIS IN IDEM
art. 649 Codice di procedura penale
1. L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto [669], neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.
2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo
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