Dieci anni fa l’omicidio delle mani mozzate
La corsa in via Dante, le prime pattuglie e la tragica scoperta per un omicidio così strano da attirare la curiosità della stampa estera. Poi la svolta e il fermo di Giuseppe Piccolomo
Due agenti sulla soglia del cancello, qualche curioso che cominciava a fermarsi e a sbirciare nel giardino di un villino nella zona semi centrale di Cocquio Trevisago, non distante dalla statale e dalle scuole del paese. Nella casa le divise blu della Croce Rosa, poi quelle arancioni degli operatori del 118 con le prime voci che stavano cominciando a girare. «Hanno ucciso una donna».
«Hanno ammazzato Carla».
Pioveva, dieci anni fa, quella notte fra il 5 e il 6 novembre 2009 (nella foto di apertura: è il primo scatto a pochi minuti dall’arrivo sul posto dei mezzi di soccorso). Un giovedì sera spettrale, umido e con le prime nebbie che chiamavano caldo e coperte e invece hanno trasformato quelle ore, nel buio, in una cornice di uno di delitti più efferati della storia della cronaca nera italiana.
Il delitto delle mani mozzate che ha distrutto la tranquillità di quella provincia catapultata nei flash d’agenzia e nei primi video installati nella metrò di Roma dove la notizia veniva battuta come ultim’ora.
Poi i tg e le luci delle dirette che illuminavano il cancello (foto sopra) e l’unico albero – una magnolia, oggi tagliata – di quel giardino, dove gli investigatori anche il giorno successivo stavano cercando qualcosa.
Erano le mani di Carla Molinari, anziana pensionata trucidata nella sua abitazione, si scoprirà più avanti a scopo di rapina.
Gli investigatori della squadra mobile di Varese si misero pancia a terra e cominciarono a setacciare la vita privata dell’anziana, le sue conoscenze in paese, i vicini e i parenti nei centri che confinano con Cocquio.
Poi la svolta: una donna che nota qualcosa di strano nel comportamento di un uomo che cerca dei mozziconi di sigaretta, qualche giorno prima dell’omicidio, nei posaceneri del centro commerciale.
Un’intuizione geniale, decisiva, che ha portato gli investigatori a emettere un fermo di indiziato di delitto ai danni di un uomo «tarchiato, con occhiali e barba e una giacca a vento rossa che è entrato questo pomeriggio nella questura», scrivevano i cronisti già nella sera del 26 novembre.
Venti giorni, di fatto, per chiudere la partita con l’assassino. Oltre alla testimonianza sui mozziconi, ad incastrare il fermato fu il coltello trovato nella sua casa con tracce di dna appartenenti alla vittima.
Quell’uomo, Giuseppe Piccoloomo, imbianchino del Lago Maggiore, era già conosciuto dalla giustizia varesina per aver patteggiato tre anni prima una pena per la morte della moglie bruciata nella sua auto nel 2003 a Caravate.
Un incidente, secondo l’accusa.
Un omicidio, deciderà 13 anni più tardi la corte d’Assise di Varese.
Lo stesso collegio che lo condannò nel 2011 all’ergastolo per l’omicidio premeditato e aggravato dalla crudeltà dell’ex tipografa in pensione, decisione passata in giudicato dopo la sentenza della Cassazione arrivata nell’aprile 2014.
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