La speranza del plasma iperimmune, per curare i pazienti più gravi

Contrapposto erroneamente al vaccino, il plasma consente di intervenire sui pazienti già contagiati e ha ridotto la mortalità dal 15 al 6%, nei casi studiati tra Pavia e Mantova

tamponi coronavirus

La speranza per salvare i pazienti più gravi dal Covid-19 si chiama “plasma iperimmune”. Una sperimentazone di cui si parla molto negli ultimi giorni (spesso contrapponendola, erroneamente, al vaccino): è stata condotta dal 17 marzo all’8 maggio al policlinico San Matteo e presso l’Asst di Mantova, su un totale di 46 pazienti.

«Plasma da donatori guariti come terapia per pazienti critici» è la definizione ufficiale enunciata da Carlo Nicora, direttore generale del Policlinico San Matteo Pavia. In sostanza: prelevare plasma con alti livelli di anticorpi da pazienti in via di guarigione, per trasferirlo a pazienti ancora a rischio.

«Prima si isola il virus in cellule umane in vitro: prendendo il siero da pazienti che hanno superato l’infezione abbiamo visto che la distruzione cellulare veniva fermata» ha dettagliato il virologo Fausto Baldanti, sempre del Policlinico San Matteo. Gli obbiettivi sono la riduzione della mortalità a breve, il miglioramento dei parametri respiratori, il miglioramento dell’infiammazione polmonare.

«Requisito essenziale – ha spiegato Nicora – era di avere in loco i donatori, con lo stesso ceppo virale; altro elemento importante, il fatto che la plasmaferesi fosse facilmente attivabile nelle strutture. Si noti che in letteratura non ci sono studi che dimostrano l’efficacia della terapia. Per questo si è trattato di un progetto di studio pilota». La sperimentazione ha anche dovuto definire il livello della diluizione del siero, perché questo il potere neutralizzante degli anticorpi: «Per potere usare il plasma a scopo terapeutico – ha continuato il virologo – bisognava considerare questo fattore, perchè in sua assenza si possono avere risultati sconfortanti, come è successo su alcuni pazienti cinesi».

I risultati sono sigificativi: «I dati di origine centrale fissavano la mortalità tra il 13 e il 20% dei pazienti con ventilazione assistita. quindi in terapia intensiva – ha continuato Fausto Baldanti – Un media quindi del 15%: per prima cosa abbiamo voluto verificare se la terapia con plasma iperimmune fosse in grado di ridurla. E in effetti si è ridotta al 6%. In altre parole: da un decesso atteso ogni 6 pazienti si è osservato un decesso ogni 16 pazienti».

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«Ho avuto oggi un colloquio telefonico con il ministro Speranza, che mi ha confermato anche da parte del governo c’è un particolare interesse» ha detto il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, che ha ricordato che gli atenei di riferimento a livello nazionale sono l’Università di Pavia e Università di Pisa, che hanno portato avanti la sperimentazione in collaborazione con ospedali di Mantova, Brescia e Bergamo.

«Siamo l’unica Regione che si è dotata di un protocollo: abbiamo risultati testati su un processo tracciato di pazienti» ha concluso l’assessore al Welfare Giulio Gallera. «Tanti parlano oggi dell’utilizzo del plasma; noi siamo quelli che l’abbiamo fatto. La strada che abbiamo scelto è quella dettata dalla scienza e punta a trovare la miglior cura possibile per una malattia che fino ad oggi non una cura»

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 11 Maggio 2020
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