Le strane sere del Ramadan, senza l’incontro serale
Come le comunità cristiane, anche i musulmani italiani vivono un momento anomalo durante il Ramadan. Ne abbiamo parlato con Hicham Sadouk, ingegnere musulmano di Cavaria
«La prima settimana di Ramadan è trascorsa e mi sembra volata», racconta Hicham Sadouk, ingegnere trentunenne di Cavaria con Premezzo, «forse è anche grazie al lavoro cui sono tornato questa settimana».
Questo mese di Ramadan a causa del Coronavirus è diverso dal solito per i musulmani praticanti. Iniziato giovedì 23 aprile, l’Oms ha diffuso un vademecum per i fedeli che avessero contratto il Covid-19 . Come per la Pasqua cristiana ed ebraica, naturalmente, tutti i riti religiosi collettivi sono stati sospesi e i musulmani dovranno trascorrere il loro mese sacro all’interno delle proprie case.
Com’è vivere il Ramadan in piena pandemia?
«Noi musulmani, come tutti d’altronde, stiamo vivendo questo momento storico e tutti i suoi cambiamenti: a seguito delle restrizioni tutte le moschee sono state chiuse, quindi la comunità sente sulla propria pelle questa mancanza. In più, vivere un momento di riunione e condivisione – dopo il digiuno dall’alba al tramonto – tra famigliari e parenti la sera di questi tempi è impossibile. Lo si vive sempre in casa, certo, ma meno numerosa è la famiglia più questo momento è diverso e strano rispetto al passato».
A differenza del mondo cattolico, però, non usate i social per le preghiere “comunitarie”.
«No, non usiamo i social per pregare, perché la nostra è una preghiera verticale con cui entriamo in rapporto intimo con Allah. Immaginare che questo accada tramite i social è difficile. Li usiamo, invece, per delle lezioni di approfondimento del Corano o per i momenti di riflessione, ci sono anche i consigli di imam italiani e non per affrontare queste settimane. Insomma, la nostra comunità ha cercato di creare momenti di aggregazione e di incontro online, affinché tutti noi viviamo questo mese con accesa spiritualità».
Dei “momenti social” mirati a tutti i fedeli, quindi.
«Sì, sono state ampliate delle lezioni sulla religione e sul buon comportamento. Per le fedeli donne, sono state invitate – sempre via social – delle dottoresse che hanno avviato una serie di sessioni di formazione. Invece, l’imam lombardo Youssef Zahir si è reso disponibile per noi giovani per delle lezioni mirate al mese del Ramadan».
In che modo si è attivata la comunità islamica in questo periodo?
«Tutte le moschee della Lombardia si sono impegnate molto nelle attività a sostegno della comunità in generale, sia da un punto di vista di aiuto volontario che da un punto di vista economico: hanno dato una mano alla Protezione Civile, mettendosi a disposizione per varie attività (tra queste la distribuzione dei pacchi alimentari). Ci sono state poi donazioni di più di 15.000 euro, i centri culturali islamici hanno acquistato beni di prima necessità, che hanno poi distribuito alle famiglie bisognose – musulmane e non – in varie province lombarde. Queste iniziative nascono dall’appartenenza ad un unico paese: ci dobbiamo aiutare l’un con l’altro nel rispetto dei valori umani, di quelli da buoni musulmani».
Come vive un credente questo momento?
«Lo vive sicuramente in maniera diversa, anche se a livello mondiale la situazione delle moschee chiuse – ma anche delle chiese e dei luoghi di culto in generale – ci accomuna tutti. Dopo quasi due mesi, però, ci siamo abituati alla convivenza con il Coronavirus».
Cosa si prova a vedere la moschea chiusa?
«Una sofferenza grandissima: è un Ramadan inedito per ovvie ragioni e mancheranno le Tarawih (la preghiera supplementare volontaria, ndr) cui i fedeli tengono molto. E poi in questo mese la moschea rappresenta un luogo di incontro, socialità e avvicinamento tra le persone: spesso si incontrano persone con cui si hanno avuto dei dissapori e si ha la possibilità di riavvicinarsi, dato che il Ramadan è il “mese del perdono”».
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