Come garantire i diritti dell’infanzia dopo il lockdown

Il pedagogista varesino Silvio Premoli, nuovo Garante dei Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza di Milano e le sfide di scuole e servizi all'infanzia a settembre

Generico 2018

Il nostro non è paese a misura di bambino, anche a causa di un welfare concentrato sull’offerta di servizi e tutele per gli anziani, ma poco attento alle esigenze dei piccoli e delle giovani famiglie: “Per questo l’Italia viene bacchettata in Unione Europea. Da qui bisogna partire per costruire un contesto sociale più attento ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, non solo quando si parla di servizi educativi o sociali, ma anche, ad esempio, di urbanista”.
Lo sostiene Silvio Premoli, pedagogista varesino appena nominato Garante dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (pro bono) nel capoluogo meneghino, attraversato negli ultimi giorni da vibrate proteste dei genitori per la forte contrazione dei posti a disposizione dei bambini in nidi e scuole dell’infanzia comunali.

“Milano è una città tra le più virtuose in Italia sui servizi rivolti alla prima infanzia”, spiega Premoli con riferimento agli oltre 30 mila bambini accolti tra materne e nidi comunali lo scorso settembre. Ma la cifra è destinata a contrarsi seriamente a causa delle nuove norme di sicurezza imposte per la riapertura. “Grazie alla ricerca di nuovi spazi e all’assunzione di nuovi educatori il Comune è riuscito a ridurre l’impatto delle misure a un -10% di posti, ma significa comunque che miglia di bambini rischiano di finire in lista d’attesa”, conferma. Il guaio è che nelle stesse condizioni ci sono gli asili privati, ancora più esposti alla scarsa sostenibilità economica dei nuovi parametri. “Ci sono nidi che non riapriranno al settembre, la maggior parte degli asili è comunque in forte crisi davanti alla necessità di trovare nuovi equilibri tra spazi, costi e personale dopo mesi di cassa integrazione nell’impossibilità di cercare nuovi utenti per il futuro”. E questo riguarda tutte le città.

I bambini hanno sofferto moltissimo la chiusura delle scuole per tante ragioni differenti: stare chiusi in casa, lontani dalla loro quotidianità e dai rapporti con i coetanei è stata dura per tutti (almeno 7 bambini su 10 ne portano i segni secondo uno studio del Gaslini di Genova). “Ma hanno sofferto maggiormente quelli più soli, senza fratelli o senza la possibilità di vivere nelle famiglie allargate condominiali che si sono create in fase2, i bambini in contesti familiari di disagio o più banalmente di povertà educativa o peggio di violenza, perché c’è stato anche questo, anche se sommerso, difficile da far emergere dall’isolamento del lockdown- spiega il pedagogista – E poi ci sono gli studenti abbandonati da insegnanti che non si sono mai prestati all’interazione, se pur parziale, della didattica a distanza”.

I ragazzi più grandi, gli adolescenti, sono stati bravissimi nel lockdown, “poi forse si poteva gestire meglio, con regole più chiare, la fase due – ammette – Ma ora che da mesi si frequentano liberamente in diversi contesti, che senso ha pensare di negargli la scuola?”
Il terzo settore è molto attivo nel proporre idee, soluzioni che permettano di recuperare spazi alla didattica, ottenendo il duplice scopo di sostenere le scuole e valorizzare dando nuova linfa vitale a parchi, edifici storici, musei magari poco frequentati. Ma la scelta di sostenere queste idee è politica e non può tardare. Il pericolo di arrivare troppo tardi è elevato”.

Altro tassello fondamentale, anche in questa fase, è ascoltare i bambini e i ragazzi. Non solo perché lo dice la Convenzione internazionale sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ma perché ne hanno bisogno loro e ne hanno bisogno gli adulti per sostenerli nella crescita: “Ascoltarli non significa fare ciò che vogliono loro, ma essere disposti a comprendere il loro punto di vista e a tenerne conto nelle decisioni, che comunque competono agli adulti”.

 

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Pubblicato il 24 Luglio 2020
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