“Tra quei 130 morti in mare c’era anche mio cugino. Questa tragedia va fermata, amici non partite”

Muba ha 19 anni e vive a Castronno. Suo cugino Mohammed il 20 aprile è salito su un barcone naufragato a largo della Libia. Insieme a lui sono morte 130 persone

muba

Muba ha 19 anni e vive a Castronno (a destra nella foto). Il 20 aprile per lui è stato un giorno come tutti gli altri, tra il calcio e le lezioni all’istituto Einaudi di Varese. Quel giorno ad Al-Khums, in Libia, un ragazzo di nome Mohammed (a sinistra nella foto) si imbarcava insieme ad altre 130 persone. Loro due hanno pochi anni di distanza: sono cugini ma il loro rapporto di amicizia è piuttosto recente, riallacciato nel 2018 quando Muba è tornato in Burkina Faso per rivedere il luogo dove è nato e cresciuto da ragazzino.

Muba è arrivato in Italia nel 2007 con un volo aereo di linea. Un viaggio normale, come quello che farebbe un turista. Ha raggiunto il padre che si trovava in Italia da 30 anni e da allora ha sempre vissuto qui. È diventato anche cittadino italiano.

Suo cugino lo ha incontrato nel 2018, sono diventati amici e da allora sono sempre rimasti in contatto. «L’ho sentito pochi giorni fa – racconta il 19enne castronnese -. Stava bene. Sapevo che si trovava in Libia ma non potevo immaginare che cosa stava per succedere».

La mattina del 21 aprile quell’imbarcazione salpata dalla Libia è stata avvistata da un pescatore che ha capito subito che qualcosa non andava. Per tutto il giorno sono rimbalzati messaggi d’aiuto ma nessuno è intervenuto. Sul posto il 23 aprile tre navi mercantili e la Ocean Viking di SOS Mediterranee ne hanno trovato il relitto, i cadaveri e nessun sopravvissuto».

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Foto Sos Mediterranee

Ci sono notizie che sembrano così distanti da sembrare tragedie lontane. Ma non è stato così per Muba. «Alcuni giorni dopo hanno cominciato a chiamarmi per sapere se avevo notizie di mio cugino. Non ci ho dato neanche troppo peso fino a quando non ho aperto Instagram e ho visto la sua foto con la scritta “riposa in pace”. L’aveva postata un parente. È stato sconvolgente».

A qualche giorno di distanza la riflessione di Muba è amara: «Quando sono tornato in Africa nel 2018 ho capito davvero quanto è prezioso il valore della vita e quanto qui diamo per scontate troppe cose – racconta -. Mio cugino è partito perché è così che fanno i giovani lì. Su 20 ne partono 15, vanno verso la Libia con quell’obbiettivo. Quando cresci lì lo sai: se non parti oggi sarà domani, tra un mese, tra un anno. È la disperazione che te lo fa fare. I giovani si guardano intorno e si dicono: “Noi non abbiamo niente da perdere”».

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Foto Sos Mediterranee

«A tutti quei ragazzi io però dico di non farlo. Tutte le volte che posso ci parlo e provo a spiegare che quel viaggio della morte non va intrapreso. Lo avrei detto anche a mio cugino se mi avesse avvertito. Là ci sono ragazzi che darebbero la vita per vivere un briciolo di quello noi viviamo qua. Visto da loro è un sogno, ma non è così semplice raggiungerlo anche se si supera quella traversata. Io cerco di spiegarlo tutte le volte che posso: ragazzi, amici non partite».

Il corpo di Mohammed si trova in fondo al mare. Suo cugino stenta ancora a crederci. Per lui quella non è una tragedia lontana. «Mi sembra impossibile che non si possa fare qualcosa per fermare tutto questo. Impossibile».

Tomaso Bassani
tomaso.bassani@varesenews.it

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Pubblicato il 29 Aprile 2021
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