Crescono le dimissioni volontarie dei lavoratori. È arrivato il tempo del wise working

Per difendersi dal boom delle dimissioni volontarie (dei giovani), servono benefici reali e un nuovo paradigma delle relazioni tra imprese e persone

licenziamento lavoratori

All’inizio il Covid-19 ci è sembrata una questione cinese di cui preoccuparsi poco. Poi …Lo stesso è successo con il fenomeno che i media americani hanno etichettato la Great Resignation, la crescita massiva di dimissioni volontarie dei lavoratori. Ora scopriamo che questo tipo di “virus” ha attraversato l’Atlantico ed è arrivato in Italia. Questa volta non si diffonde nelle fasce più anziane della popolazione. Attacca soprattutto la base dei talenti su cui le imprese stanno costruendo il proprio futuro: i giovani.

L’Associazione Italiana Direttori del Personale (AIDP) ha pubblicato i risultati della ricerca su un campione di circa 600 aziende dai quali emergono dati molto interessanti.

Chi se ne va? Il 60% delle aziende sta vivendo il fenomeno delle dimissioni volontarie. Le fasce d’età maggiormente coinvolte riguardano i 26-35enni che rappresentano il 70% del campione, seguito dalla fascia 36-45 anni. Il picco sono i giovani neoassunti in mansioni impiegatizie in aziende del Nord. I settori che maggiormente rimangono scoperti sono: Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%), Marketing e Commerciale (27%).

Perché se ne vanno? Le ragioni principali delle dimissioni volontarie sono nell’ordine (scelta multipla): la ripresa del mercato del lavoro (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altra azienda (47%), l’aspirazione ad un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%), la ricerca di maggiori opportunità di carriera (38%), la ricerca di un nuovo senso di vita (25%) e il clima di lavoro negativo interno all’azienda (20%).

Le imprese cosa fanno? Il 75% delle imprese è stato colto di sorpresa rispetto ad una tendenza inattesa. L’88% non ha in atto un piano di incentivo all’esodo e solo il 12% ha piani di incentivazione all’uscita anche con prepensionamenti. Il 55% sostituisce i fuoriusciti con altri dipendenti con contratti a tempo indeterminato e determinato; il 25% considera la situazione un’occasione di riorganizzazione dei processi produttivi; e, infine, il 15% attende di valutare con maggior tempo gli impatti che avrà il fenomeno

La lettura di Matilde Marandola, presidente di AIDP, è incisiva: “Il rispetto dei valori individuali, la qualità delle relazioni, il benessere sul posto di lavoro e una serie di aspetti legati alle proprie motivazioni ed aspirazioni sono diventati indispensabili. Il fattore scatenante è che le persone si sono interrogate rispetto al senso del proprio lavoro e in qualche caso della propria vita e, nella maggior parte dei casi, le risposte hanno spinto al cambiamento».

È vero che stiamo attraversando una radicale trasformazione. Le priorità dei dipendenti sono cambiate e le aziende si trovano davanti ad un’opportunità di rinnovamento anche per attrarre i migliori talenti. I benefit sono uno degli strumenti di risposta davvero utili alla motivazione e alla gratificazione dei lavoratori. A livello globale, seconda una ricerca della società di consulenza americana Forrester, il 79% dei dipendenti si aspetta un ampliamento del programma di benefit aziendale per il 2022 e il 68% ha affermato di utilizzarli maggiormente rispetto al periodo pre COVID-19.

E in Italia? «Ben 8 italiani su 10 ritengono di meritare di più nel lavoro», rivela la ricerca di Harris Interactive per Sodexo Benefits Rewards Services Italia. Questi sono i 10 benefit più richiesti dai lavoratori italiani per il 2022:

1 – Premi immediati (36%)
2 – Buoni pasto (30%)
3 – Bonus a lungo termine (24%)
4 – Assicurazione medica (23%)
5 – Mensa aziendale (23%)
6 – Benefit finanziari (per es. fondo pensione, assicurazione sulla vita) (22%)
7 – Agevolazione per gli abbonamenti dei mezzi pubblici (20%)
8 – Programmi di formazione per i lavoratori (20%)
9 – Flessibilità lavorativa (17%)
10 – Macchina aziendale (17%)

Sono illuminanti le differenze a livello internazionale. Al primo posto in pressoché tutti i paesi c’è la preferenza per i premi immediati. Gli italiani si distinguono, insieme ai francesi, mettendo molto in alto i buoni pasto (da trasformare in acquisti al supermercato), a conferma che le retribuzioni sono ancora troppo basse. I tedeschi preferiscono la mensa aziendale (evidentemente non amano farsi da mangiare). Gli spagnoli l’assicurazione medica privata (forse per l’impatto dell’esperienza Covid-19). Per i cinesi conta che l’azienda paghi i mezzi pubblici. Agli americani piacciono molto i benefit per il benessere psico-fisico (sono già pagati oltre la soglia motivazionale di Maslow).

I benefit sono utili, come primo livello di risposta, ancora a livello transazionale. Serve andare oltre con un nuovo sistema del lavoro basato su relazioni tra impresa e dipendenti in cui i valori di scambio siano molto più ampi. Da lato dell’impresa, si offre oltre al soddisfacimento economico, uno sviluppo continuo e la partecipazione al raggiungimento di un fine aziendale che incorpora i concetti ESG (Environmental, Social e Governance) e gli obiettivi di sviluppo globale delle Nazioni Unite. Dal lato delle persone, si risponde con la capacità, volontà e responsabilità di contribuire con tutte le proprie risorse di competenze, creatività, networking e imprenditorialità.

La spinta creativa che genera il valore nel contesto dell’economia della conoscenza ha bisogno di persone che riescono a contribuire con grande partecipazione ai progetti sociali, culturali ed economici ai quali si dedicano. La riprogettazione del lavoro può garantire una tripla forma di ingaggio, tre forme di “remunerazione” di chi lavora: una buona soddisfazione economica, un continuo miglioramento cognitivo con occasioni di apprendimento importanti nel corso di tutta la vita lavorativa, una forte motivazione al progetto d’impresa connessa al suo effetto sociale, culturale, ambientale. Questo però probabilmente non si può più chiamare solo smart working. Come dice Domenico De Masi per fare un lavoro smart occorre che produca cose smart in modo smart: «Abbiamo bisogno di creatività, ma le aziende attuali sono pensate soprattutto per la esecutività». C’è bisogno di un cambio di paradigma e di nuove parole per descrivere questa trasformazione. È arrivato il tempo delwise working”, composto dall’aggettivo wise (‘saggio’) e dal sostantivo working (‘lavoro’).

“Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo”, Buddha.

di
Pubblicato il 27 Gennaio 2022
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.