“Il medico di famiglia? È ostaggio di burocrazia e whatsapp”

Intervista a Luigi Simonetta medico di medicina generale a Cazzago Brabbia, Bodio Lomnago e Inarzo. "Il nostro lavoro era difficile anche prima della pandemia. Troppi assistiti e troppe ore di lavoro burocratico"

Luigi Simonetta Cazzago Brabbia

C’è una scena ne “Il medico della mutua” in cui il dottor Guido Tersilli, Alberto Sordi, passa da una stanza all’altra del suo ambulatorio visitando un paziente al minuto. Viene alla mente quel film se si considera che i medici di medicina generale oggi hanno una media di 1500 assisti a testa. A volte di più.

Le sale d’attesa affollate come in epoca di pre-pandemia sono ormai solo un ricordo, ma questo non significa che il lavoro del “medico di famiglia” sia diminuito, tutt’altro.

Luigi Simonetta (in questa foto senza la mascherina) è medico di medicina generale da oltre trent’anni: riceve negli ambulatori di Cazzago Brabbia, Inarzo e Bodio Lomnago. I suoi pazienti sono ben più del massimale consentito, e la ragione è semplice: in quella zona mancano medici di base. Con il pensionamento di una dottoressa, alla fine dell’anno scorso, un gran numero di assisti si è visto costretto a scegliere un nuovo medico e alcuni a “migrare” a Varese. Una situazione difficile soprattutto per le persone anziane che devono spostarsi e non possono più contare sul dottore “di prossimità”. A Bodio è nato un comitato spontaneo che ha raccolto 700 firme in Valbossa per chiedere ad Asst di avere un medico di medicina generale che sostituisca quella che è andata in pensione.  Ats ha annunciato l’arrivo di due nuovi medici, che però devono ancora concludere il percorso di formazione. Insomma, ci sarà da aspettare ancora un po’.

Simonetta è molto attivo sui social dove “racconta” la sua professione di medico alle prese con nuove tecnologie e burocrazia impietosa: «Prima di tutto sgombriamo il campo da un dannato pregiudizio secondo il quale il medico di famiglia è un fannullone che lavora tre ore al giorno e guadagna un sacco di soldi – esordisce- . Non è così. Forse un tempo questo lavoro era visto come un Eldorado ma oggi non è più appetibile, soprattutto per chi fa il medico nei piccoli comuni».

I problemi sono molti e di vario genere, tanto che fanno dire a Simonetta che: «L’Italia non è un paese per medici di medicina generale. Quando colleghi vanno in pensione cosa succede? I politici locali partoriscono soluzioni tappabuchi: gli assisti vengono distribuiti tra gli altri professionisti rimasti in servizio. E poco importa se avevano raggiunto già il massimale. Come succede a me. Tanti assisti tanti soldi? Bene, facciamo due conti. Io prendo 3 euro lordi al mese a paziente. Sono 4500 euro lordi al mese: ci pago, ovviamente le tasse, e con una parte devo saldare gli affitti degli ambulatori di Cazzago, Inarzo e Bodio; non sono grosse cifre ma comunque è chiaro che alla fine quel che resta in tasca non è molto. Ho due figlie adolescenti, mia moglie mi fa da segretaria, gratis, e alla fine per far quadrare i conti io presto servizio anche in una Rsa. Sia chiaro: amo il mio lavoro, mi piace molto lavorare con i pazienti anziani, ma non posso negare che questa professione sia diventata davvero impegnativa».

A questo si aggiungono le “spese vive” e un inquadramento contrattuale che Simonetta definisce “squallido”: «Non abbiamo malattie e ferie, niente tredicesima. La carta, i toner, i Pc sono a spese nostre. Solo il software che usiamo costa mille euro all’anno»

Ma qual è il vero male che affligge i medici di medicina generale? Luigi Simonetta non ha dubbi: la burocrazia. «Noi medici di medicina generale siamo ridotti a degli “autorizzatori amministrativi”. In una Sanità in cui ormai tutto è a pagamento l’assalto che subiamo ogni giorno è fondamentalmente dovuto a questo. Siamo vittime di nutrizionisti, cardiologi, fisioterapisti, per non parlare dell’Inail. Le nostre ricette servono per i farmaci gratis ma anche per visite esami di ogni genere, carrozzine, materassi. Facciamo certificati che permettano di risparmiare su massaggi agopuntura, osteopati.  Toglieteci le “ricette” e gli ambulatori saranno svuotati e io potrò tornare a fare il Medico, con la M maiuscola».

La pandemia ha poi aggravato la situazione: gestire appuntamenti e visite richiede uno sforzo in più e un’agenda sempre a portata di mano: «Whatsapp è stato di grande aiuto – dice ancora Simonetta – ma ora è una dannazione. I messaggi arrivano ad ogni ora del giorno e della sera. Tra messaggi e chiamate mi è capitato di ricevere anche 70 richieste in due ore. Ma come è pensabile che si possa fare bene il proprio lavoro in queste condizioni?»

Ma c’è una soluzione? Secondo il dottor Simonetta sì: «Si parla tanto di case di comunità, di potenziamento della medicina territoriale, ma come saremo inquadrati noi ancora non è chiaro. La soluzione potrebbe essere quella di favorire l’associazionismo, credo sia necessario favorire la costituzione di presidi territoriali diffusi dove i medici facciano medicina di gruppo e siano supportati tecnologicamente con investimenti della Regione. Ma soprattutto occorre semplificare la burocrazia. Non mi stancherò mai di dirlo: io voglio solo tornare a fare bene il mio lavoro, voglio tornare a fare il medico».

Roberta Bertolini
roberta.bertolini@varesenews.it

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Pubblicato il 08 Aprile 2022
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