La miglior ginnastica per un cervello empatico a tutte le età? Leggere

"La lingua è un formidabile strumento di conoscenza e influenza sul mondo in cui speriamo di continuare a vivere, anche se è un’invenzione molto recente e per nulla naturale"

Leggere libri

La lingua è un formidabile strumento di conoscenza e influenza sul mondo in cui speriamo di continuare a vivere, anche se è un’invenzione molto recente e per nulla naturale per il nostro cervello. Forse non a caso l’inglese, la lingua più parlata sul pianeta, è anche quella che ha il vocabolario più vasto, con 490 mila parole di linguaggio corrente e 300 mila di linguaggio tecnico.

Il dizionario di Oxford definisce ben 615 mila parole. Questo è il risultato di un continuo processo di adattamento e integrazione. L’inglese moderno si è evoluto dalla famiglia di lingue germaniche, come l’olandese e il tedesco, ed è stato molto influenzato dal francese e dal latino normanno, adottando nel corso dei secoli parole di altre lingue. Al confronto sembrano poche le parole della lingua italiana. Una stima indicativa indica circa 220 mila vocaboli, quelli presenti nel “Grande dizionario italiano dell’uso”, curato dal linguista Tullio De Mauro, che esclude la terminologia tecnica.

La scrittura è nata circa 5400 anni fa presso i Babilonesi e lo stesso alfabeto fonetico ha “solo” 3800 anni. I tempi dall’invenzione della scrittura/lettura non sono che un istante se confrontati con i milioni di anni dell’evoluzione della specie che sono passati senza di essa. Tuttavia, abbiamo adattato la scrittura al funzionamento del nostro cervello di primati evoluti, perché questa invenzione umana ha fornito una soluzione molto innovativa al problema della conoscenza. Con il suo tramite la nostra specie si è liberata dai vincoli della memoria e ha avuto accesso ad un sapere che, non dipendendo più dalla ripetizione orale, può ampliarsi enormemente. Questo è accaduto trasformando il tratto scritto in modo da essere processato dai neuroni dedicati a questa funzione allo stesso modo con cui vengono “letti” i volti e gli oggetti materiali.

Leggere è un fenomeno molto complesso, molto oltre quanto intuibile dall’etimologia della parola. Leggere viene dal latino lĕgĕre, raccogliere con l’occhio i caratteri scritti o stampati che formano le parole. Non è un’acquisizione trasparente di informazioni, richiede un’interpretazione dei segni raccolti: caratteri cuneiformi, note musicali, sequenze enigmistiche, collegamenti ipertestuali digitali, la storia dei segni è in continua evoluzione. Come insegna Federica Fioroni, in “Neuroscienze e lettura”, leggere richiede tre processi correlati: 1. la decodifica, cioè la conversione dei simboli grafici in linguaggio, con una prima analisi superficiale per la costruzione del significato di frasi e brevi stringhe di parole; 2. la comprensione, cioè l’elaborazione del modello mentale emergente dal testo, con un’analisi inferenziale e critico- interpretativa; 3. la risposta, cioè il coinvolgimento emozionale e l’impatto del leggere sulla nostra vita quotidiana. Sappiamo tutti che la lettura migliora il nostro vocabolario, amplia le nostre prospettive, ci introduce a nuove idee e aumenta la fiducia. È un’abitudine che tutti devono adottare il prima possibile e continuare per tutta la vita. È considerata una delle chiavi per una vita più longeva (un paio d’anni di bonus dicono alcune ricerche) e soprattutto più ricca a 360°. Ora abbiamo scoperto che, secondo le neuroscienze, la lettura non solo ci arricchisce di informazioni, ma fa anche funzionare meglio il nostro cervello.

Gli studi più recenti, basati sulle tecniche di neuroimaging, hanno confermato che esiste una zona del cervello preposta alla lettura, la regione occipito-temporale sinistra, battezzata regione della forma visiva delle parole, la quale consentirebbe al lettore di stabilire se un qualunque gruppo di lettere costituisce o no una vera parola in un lasso di tempo brevissimo (150 millesimi di secondo). Indipendentemente dalla lingua usata, l’area cerebrale è la stessa. Questo dimostra che leggere è un processo invariante ai tratti culturali e storici. L’elaborazione del testo scritto comincia nella parte centrale della retina (fovea), che possiede una risoluzione elevata per riconoscere i dettagli delle lettere. Gli occhi si spostano tramite piccoli e rapidi movimenti per scansionare il testo, il quale non viene riconosciuto in modo globale e immediato, bensì scomposto in migliaia di piccoli frammenti, che poi il cervello ricompone. Alla fine di questo processo entrano in gioco due vie simultanee di elaborazione dell’informazione: la via fonologica e la via lessicale: la prima permette di convertire la sequenza di lettere (grafemi) in suoni del linguaggio (fonemi), la seconda consente di accedere a una sorta di dizionario mentale dove è depositato il significato delle parole.

In pratica, la lettura innesca l’attivazione di reti neuronali dove migliaia di neuroni visivi lavorano in parallelo a tutti i livelli (tratti, lettere e parole) e, collaborano per sostenere una parola o un’altra al fine di proporre la miglior interpretazione possibile della parola percepita. Dunque, imparare a leggere significa mettere in connessione le aree visive con le aree del linguaggio secondo interconnessioni bidirezionali che non sono ancora conosciute in dettaglio. Leggere un testo stampato o digitale fa differenza? La lettura digitale aumenta per il lettore le possibilità di interazione con il testo, come accedere a dizionari che si attivano quando una parola viene selezionata, esportare parole e sottolineature come file separati, effettuare ricerche con parole chiave. Leggere in questo modo è un po’ come giocare e fare esplorazioni personalizzate. Questi processi non sembrano riguardare aspetti quali il riconoscimento di parole e in generale la decodifica di un testo, quanto la fase della comprensione ed elaborazione emotiva. Quindi il settore dove potenzialmente appaiono più significative le ricadute della lettura digitale è quello dell’apprendimento e delle enormi potenzialità che si aprono nei percorsi educativi, a tutte le età.

Le analisi sui processi di elaborazione individuale della lettura non devono trarre in inganno. Leggere è un processo altamente socializzante che comincia, ad esempio, con l’acquisizione del linguaggio materno e prosegue con la lettura dei libri prima di andare a dormire. Uno studio dell’Università di Tel Aviv ha dimostrato che la lettura di un e-book in collaborazione con un adulto era il metodo che portava ai maggiori miglioramenti nella lettura in bambini dai 5 ai 6 anni, rispetto a leggere testi stampati con o senza adulti a supporto. Il ruolo dei genitori è fondamentale per avvicinare i ragazzi all’abitudine e all’amore per la lettura. Un recente ricerca italiana ha individuato questa correlazione. I bambini forti lettori hanno genitori che cercavano di leggere libri insieme al figlio da piccolo (61%), compravano libri che pensava potessero piacergli (57%), parlavano insieme dei libri letti (55%) e, in generale, della lettura come di una vera e propria passione 51%. La mamma è decisamente la più coinvolta dei due genitori in tutte le attività che riguardano la lettura (coinvolgimento medio della mamma 71%, del papà 29% …), dai suggerimenti, agli acquisti veri e priori, passando per le conversazioni sui libri letti o da suggerire. La lettura è un tipo di attività mentale che dovrebbe far parte della nostra routine quotidiana. È sufficiente leggere prima di andare a letto per almeno 30 minuti per averne i benefici. Non importa cosa leggiamo e con quale strumento, tradizionale o digitale. Consigli per gli acquisti? Io sto divorando “Il diritto dei lupi” di Stefano De Bellis ed Edgardo Fiorillo, ed. Einaudi, un legal thriller ambientato nell’antica Roma.

“Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti, quelli passati in compagnia del libro prediletto”, Marcel Proust.

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Pubblicato il 30 Luglio 2022
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