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Essere contro la Coca-cola non è semplice antiamericanismo

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28 Novembre 2005

C’è un’eccessiva semplificazione nel post-it di Del Frate, una pratica che di solito non è presente nei suoi scritti, al di là che condivida o meno quanto sostenuto. Porsi e porre il problema della sponsorizzazione di Coca-cola alle Olimpiadi Invernali non può essere ridotto ad un sentimento antiamericano, ma è il frutto della consapevolezza che anche facendo la spesa, scegliendo un prodotto piuttosto che un altro, si sceglie la guerra o la pace, si costruisce un mondo di giustizia o di ingiustizia, si salvaguardia l’ambiente o si contribuisce a distruggerlo.
“In un momento in cui sembrano valere solo le ragioni del mercato e le multinazionali hanno più potere dei governi, dobbiamo trovare nuovi strumenti per dare delle regole alle imprese in modo da indurle a comportamenti più rispettosi nei confronti dei paesi del Sud del mondo, del lavoro e dell’ambiente. L’esperienza dimostra che uno dei mezzi più efficaci per condizionare le imprese è il consumo…” così Francesco Gesualdi introduce la Guida al consumo critico, edita dall’Editrice Missionaria Italiana. E proprio sfogliando le pagine di tale guida si possono scoprire i tanti motivi per cui in molti e molte non hanno gradito la sponsorizzazione di Coca-cola, per cui molti e molte scelgono di non comprare e consumare questo marchio, fintanto almeno che manterrà inalterati i propri comportamenti. E allora ecco alcuni esempi di questi comportamenti: fra il 1992 e il 2002 nelle fabbriche di imbottigliamento della Coca-cola colombiane sono stati uccisi numerosi attivisti sindacali tanto che il sindacato americano United Steel Workers Union ha denunciato Coca-cola all’autorità giudiziaria statunitense per la catena di assassinii, torture, sequestri di persona avvenuti in Colombia. La popolazione di Plachimada, in India, è insorta perché Coca-cola prelevando un milione di litri d’acqua al giorno prosciuga i pozzi della zona e inquina le falde acquifere disperdendo nel terreno sostanze chimiche usate per ripulire le bottiglie. Nel 1998 il Corriere della Sera rivelò che i palloni distribuiti da Coca-cola a scopo pubblicitario erano cuciti a mano in India e Pakistan con il coinvolgimento del lavoro di bambini. Fra il 2000 e il 2002 Minute Maid è stata costretta a ritirare vari lotti di succhi di frutta per la presenza di muffe, disinfettanti sanitari, briciole di materiale sintetico, mentre un lavoratore che ha denunciato la presenza di un topo in un’azienda che produce succhi per Minute Maid è stato licenziato. Nel 2002 la rivista americana Multinational Monitor ha inserito Coca-cola fra le dieci peggiori multinazionali per comportamenti antisindacali e discriminazioni razziali e nel 2002 il famoso marchio ha patteggiato il risarcimento di 2200 lavoratori afroamericani che avevano subito atteggiamenti discriminatori.
E si potrebbe continuare a lungo, non fosse per la necessità di contenere gli esempi in una lettera.
Il consumo, anche dei prodotti Coca-cola che la sponsorizzazione mira evidentemente a incrementare, è tutt’altro che un fatto privato: esso coinvolge problemi di natura sociale, politica, ambientale. Ogni volta che acquistiamo un prodotto compiamo una scelta che non riguarda solo il prezzo o la qualità, ma anche il tipo di società in cui vogliamo vivere. Bisogna semplicemente diventarne consapevoli.

Cinzia Colombo

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