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Maniglio Botti, maestro di vita

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15 Maggio 2020

Biro, Crusca, Cipolla, Gimiro,  Caghetta, Bredesen, Lungo, Scatolino… al  Cantoreggio  avevamo tutti un soprannome. Nomignoli  che accettavamo serenamente  perché racchiudevano l’amicizia che nasce dai cortili dove nessuno ha più dell’altro e dove le vicende umane, tristi o gioiose, venivano spartite in merende selvagge.

A quei momenti seguivano vivaci  tornei di calcio e compiti  “improvvisati”; mancava  soltanto Maniglio, l’unico che non aveva un soprannome e preferiva rimanere in disparte. Era un ragazzino timido, semplice e buono.  Spesso rimaneva  sul balcone di casa, per studiare o leggere i racconti dei grandi autori del  ‘900.

Maniglio Botti se n’è andato giovedì  14 maggio, con i capelli e la barba bianca lasciando i compagni di gioco senza maestro, perché questa è stato nel corso della vita la sua strada, una guida per compagni e colleghi. Pierfausto Vedani, decano dei giornalisti varesini, lo volle in Prealpina sul finire degli anni 70. Insieme a Mario Lodi e Gaspare Morgione lo vide crescere affiancato da giovani virgulti che rispondevano  al nome di Massimo Lodi, Gianni Spartà, Fausto  Bonoldi, Natale Cogliati, Giancarlo Pigionatti, e Claudio Piovanelli; cronisti che hanno lasciato un segno indelebile nella Prealpina e nella cultura varesina.

A distanza di anni, nessuno sa se Maniglio Botti di questi ragazzi fosse l’alfiere. Una cosa è certa: con i suoi scritti ha rappresentato un raffinato pensiero che spaziava dalla cronaca allo sport con una forma di umana partecipazione degna di chi, prima dei salotti, aveva conosciuto la strada.

Maniglio non lascia solo la moglie Laura ed i figli Carlo e Lucia, lascia tutti noi orfani di un  cantore di vita che, attraverso la carta stampata, ha portato nelle nostre case la luce di un mondo migliore.

Chi scrive, come Massimo Lodi lo ha sentito al telefono lunedì  scorso. Era sereno anche se nella voce  traspariva un barlume di malinconia. Parlammo di quanto accade attorno a noi con la speranza  di ritrovarci prima dell’estate davanti a un caffè. Un desiderio, un sogno, come quello dell’infanzia trascorsa  insieme nei cortili del Cantoreggio.

Da oggi, di Maniglio, come un fiore prezioso, porterò nel cuore  l’ultimo dei suo saluti: “Ciao Ferna …”.

Fernando De Maria

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