“E ora il partito federale”
Le dimissioni di Walter Veltroni aprono la fase di successione alla leadership del Pd. Ma per i vertici provinciali e regionali non è solo un problema di linea ma anche di organizzazione. I commenti di Tosi, Alfieri, Adamoli e l'ex alleato di Prc Agostinelli
Stefano Tosi, consigliere regionale Pd: « Quale leadership? Non importa che sia giovane o vecchio, penso invece che bisogna fare due percorsi nuovi e paralleli: da una parte premiare a livello nazionale chi sul territorio ha fatto cose concrete e proposto modelli positivi, vincenti, amministratori che abbiano stabilito relazioni profonde con l’elettorato, ad esempio come ha fatto Chiamparino a Torino; dall’altra ridimensionare l’apparato nazionale che rende il partito elefantiaco e autoreferenziale. Il Pd deve essere decentrato, snello, federale, capace di prendere decisioni sulla base di proposte concrete. E deve andare avanti chi ha le idee ed è propostitivoDa Varese, ad esempio, noi abbiamo sempre sollevato questioni positive con la volontà di trovare un punto di accordo. . Troppo spesso, però, prevaleva l’atteggiamento distruttivo. Comunque, le dimissioni di Veltroni non sono giunte inaspettate. Non c’era un’aria buona e la sconfitta in Sardegna ha accelerato i tempi. Cosa fare? La cosa migliore in questa fase sarebbe convocare il congresso ma non ci sono i tempi perché alle porte ci sono le elezioni europee e poi le amministrative. Fino a sabato abbiamo una assemblea dietro l’altra ad ogni livello, da quello provinciale a quello nazionale. Siamo pronti a lavorare per il Pd».
Giuseppe Adamoli, consigliere regionale del Pd e presidente della Commissionme statuto: «Il mio ragionamento era semplice: che senso avrebbe una crisi nel bel mezzo della preparazione delle elezioni amministrative ed europee?
Un’altra considerazione: siamo sicuri che Veltroni si sia dimesso solo per il rovescio elettorale di Soru? Quanto hanno inciso le risse al vertice? E quanto l’annuncio totalmente intempestivo della candidatura alternativa di Bersani (ottimo dirigente) dieci giorni prima delle elezioni sarde? Il problema del PD era quello della leadership, sì, ma in quanto linea politica: Abu Mazen o Hamas? Sistema tedesco o bipartitismo? Ingresso in Europa nei socialdemocratici o gruppo autonomo alleato con loro? Quale testamento biologico? E poi, alleanza con Casini o con Di Pietro?
Questi nodi restano tutti da sciogliere e si può farlo solo con un grande congresso nel quale tutti si sentano coinvolti e chi perda resti lealmente nel partito. Non con un Franceschini (che è un mio amico), o qualcun altro, al posto di Veltroni, senza un chiarimento profondo di linea culturale e politica.
Altrimenti che razza di leader abbiamo?
Alessandro Alfieri, responsabile regionale enti locali per il Pd: «Le dimissioni di Veltroni? Era inevitabile finisse così, come quando una squadra di calcio è in crisi di risultati. Ma la responsabilità, non è solo sua, è dell’intera classe dirigente, io credo vada aperto subito un processo di ricambio della classe dirigente, soluzioni a metà non mi convincono, la gente ha bisogno di avere chiarezza.
Duro il commento del consigliere regionale di Prc Mario Agostinelli, che in Varesepolitica ha commentato l’abbandono di Veltroni anche alla luce della sconfitta elettorale alle politiche del 2008: «La parabola di Veltroni sembra conclusa – ha commentato Agostinelli. Sarebbe un grave errore concluderla nella logica del capro espiatorio: è una strategia ben oltre il capo che si è rivelata fallimentare e ad essa ha creduto tutto il gruppo dirigente del PD, che già in Lombardia aveva anticipato la sciocchezza del “corrrere da solo”».«Anche per la sinistra c’è una lezione da trarre – ha concluso. Andare da soli è, in fondo, rispondere con le ricette del passato a domande diverse e nuove che non si vogliono ascoltare».
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