“Il nostro è un popolo che aspetta”
Oltre cento persone all'incontro con Mohamed AI-Halabi, responsabile delle relazioni esterne di Gaza. All'iniziativa del comitato varesino della Palestina anche i politici Cattaneo, Agostinelli, Alfieri e Ibba
"Fuori dalle leggi non c’è giustizia, si nega la libertà, e tutti sappiamo che senza libertà e giustizia è difficile che ci sia pace. La parola lascia il posto alle armi". Filippo Bianchetti ha aperto con una breve riflessione un incontro organizzato dal Comitato varesino per la Palestina sulla situazione a Gaza.
"La montagnetta di San Siro a Milano, – ha continuato Bianchetti, – dove oggi si va a correre con il cane, è fatta dalle macerie dei bombardamenti del 1945; ed è circa da allora che in Palestina, e a Gaza in particolare, le macerie si accumolano. Noi speriamo che stasera sapremo onorare la nostra storia, ascoltando quella dell’altro".
E Varese stupisce ancora una volta con una generosità e una partecipazione inaspettata. oltre cento persone sono arrivate ad ascoltare Mohamed AI-Halabi, responsabile delle relazioni esterne di Gaza.
"Il nostro è un popolo che aspetta. Non può far altro". Una situazione terribile, drammatica, al limite dell’inverosimile. Di fatto una grande prigione a cielo aperto. Ne aveva tracciato i confini Flavio Ibba che ha spiegato per pochi minuti quale siano le caratteristiche della vita a Gaza. Halabi lavora per il comune da sette anni e di fatto non può lasciare Gaza in nessun modo. È impossibile avere un visto di uscita.
"A soli duecento metri di distanza tutto è diverso. A Gaza manca tutto. Dopo la guerra erano stati promessi tanti aiuti, ma poi non è successo più niente. Quel conflitto poteva essere risolto in venti minuti perché Israele sapeva dove colpire ed invece ha scatenato un infermo facendo 1.400 vittime tra cui 322 bambini. Hanno distrutto dieci scuole e eoltre quattromila case. Quello che è più duro da accettare è che ad Israele sembra non andar mai bene niente. Dicevano che il problema pèr il processo di pace era Arafat, poi che avremmo dovuto avere elezioni libere. Ha vinto Hamas con una legge elettorale voluta dagli occidentali che ora si lamentano perché Abu Mazen è troppo debole. Insomma c’è sempre una scusa per non risolvere i problemi. Ma noi sappiamo aspettare. Restiamo a Gaza e continuiamo a fare progetti e ad educare i nostri figli per un futuro diverso".
Le parole di Mohamed sono serene e decise. Ha una carica che trasmette in una sala silenziosa dove il ritmo delle traduzioni non smorza l’emozione per ciò che racconta.
Tre politici hanno raccolto l’invito degli organizzatori e sono prresenti fino alla fine dell’incontro. L’assessore regionale Raffaele Cattaneo, il conisgliere regionale Mario Agostinelli e il consigliere comunale Alessandro Alfieri.
A loro la domanda per capire cosa si possa fare qui a Varese, in Lombardia. Quale possa essere il ruolo delle istituzioni.
Cattaneo crede che siano tre le cose possibili. "La prima è capirsi meglio e momenti come questo incontro sono importanti. La seconda è quella di intensificare quello che la Regione sta già facendo appoggiando delle Ong in progetti di cooperazione. La terza esercitare una pressione politica sulle organizzazioni internazionali perché si lavori per il processo di pace che veda il riconoscimento del diritto ad avere uno stato per ogni popolo".
Per Agostinelli "la prima risposta è la straordinaria partecipazione di oggi. A Varese c’è domanda di giustizia e questo è bene. Noi in Regione potevamo sostenere la marcia di dicembre e iniziative simili e far pressioni perché il Governo ascolti questi suoi cittadini che si impegnano per la pace. Va rotto questo apartheid e non è possibile accettare che si debba solo aspettare. Come non è possibile accettare che la Lombardia sia protagonista di traffici di armi con zone del mondo martoriate dalle guerre. Va ricostruiito un rapporto con chi ci governa facendo sentire la nsotra voce".
Per Alfieri "è necessario scuotere le coscenze perché paradossalmente la globalizzazione ci sta abituando a vedere immagini di morte e questo rende assuefatti. Si fanno bei progetti ma non basta dare i soldi alle Ong, vanno coinvolte le comunità locali perché si rendano partecipi delle iniziative di solidarietà. E insieme con queste occorre ridare slancio all’economia perché solo così Gaza può tornare a sperare in una vita normale e libera".
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